Un giorno, in un centro monastico del deserto egiziano, a Scete, i monaci decisero di radunarsi per esaminare il caso di un fratello che aveva peccato. Esasperati dalle sue ripetute disobbedienze, erano fermamente decisi ad agire con estrema severità.
Al momento di iniziare la riunione mancava però abba Mosè, un monaco autorevole ma dal passato non troppo devoto; era stato a capo di una banda di ladri e si era fatto conoscere in tutta la regione per la sua brutalità. Accolto nel deserto da un santo monaco mite e misericordioso, aveva imparato a praticare a propria volta la mitezza e la misericordia. Anche abba Mosè, dunque, era stato convocato per emettere il proprio giudizio. Si presentò in ritardo e in modo alquanto strano. Era ricurvo sotto il peso di una pesante cesta colma di sabbia; la cesta era forata e lasciava scorrere la sabbia dietro le sue spalle. Fece un giro, passando davanti ai monaci disposti in circolo, e dietro di lui la sabbia scorreva. Dinanzi al suo strano comportamento, i monaci restarono ammutoliti; poi, qualcuno osò chiedere: “Che è mai questo, abba?”. Ed egli rispose: “Sono i miei peccati che scorrono via dietro di me senza che io li veda e oggi sono venuto a giudicare i peccati altrui”. All’udire queste parole, se ne partirono dal luogo di riunione e perdonarono al fratello che aveva peccato. Questo episodio, tratto dai detti dei padri del deserto, mi sembra un ottimo commento alle parole di Gesù. “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (Lc 7,41). Siamo molto abili nel cogliere “ciò che non va” nell’altro, mentre lasciamo scorrere dietro di noi senza vederli i nostri peccati.Pretendiamo di erigerci a maestri degli altri e di guidarli e invece siamo ciechi, incapaci di leggere dentro al nostro cuore. Di fronte al male che vediamo nell’altro dobbiamo rispondere anzitutto con un esame sincero del nostro pensare e del nostro agire; l’altro ci fa da specchio, ci fa comprendere ciò che ci abita. Poi, forse, dopo aver cercato di riconoscere e di togliere la trave che ottenebra il nostro occhio, possiamo cercare con amore fraterno, e non più con sguardo cattivo, di aiutare l’altro a togliere la pagliuzza che è nel suo occhio, ma sempre e comunque il Signore ci chiede di perdonare, di offrire quell’iper-dono (dal greco: hypér), super, immenso, gratuito.
(Dall’omelia di Mons. Oliva, vescovo di Locri – Gerace)