di Giovanni Zanchi
Delegato vescovile per il Diaconato
e i ministeri della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro
A che servono i diaconi? Tutte le loro funzioni possono essere svolte anche da laici ben preparati (donne comprese); puntiamo quindi alla formazione del laicato che già opera nella catechesi, nell’animazione liturgica e nell’attività caritativa e non complichiamoci ulteriormente la vita!». Queste affermazioni che a volte ricorrono sulla bocca di alcuni presbiteri, più che espressione di disinformazione sulla natura e sui compiti della diaconia ordinata, sembrano voler dettare l’epitaffio tombale nei riguardi di una delle più interessanti e cariche di futuro novità conciliari.
In realtà, si tratta di espressioni superficiali che sottintendono una interpretazione dell’Ordine sacro in base ad una «teologia dei poteri»: cosa può fare e (soprattutto) cosa non può fare il diacono? Visto che non può celebrare l’eucaristia e non può confessare, finisce per apparire una figura ministeriale ben poco interessante e desiderata; meglio un prete avventizio (magari extracomunitario) che «dia una mano» a Pasqua e Natale. Invece, quello che il diacono può fare (amministrare il Battesimo in forma solenne, presiedere le esequie, distribuire la Comunione di cui è ministro ordinario, presiedere il culto eucaristico fuori della Messa) è considerato marginale se non decorativo e già sufficientemente svolto da altre figure ministeriali istituite o di fatto.
Alcuni si mostrano invece sensibili – in modo sbagliato però – alle facoltà di benedire riconosciute al diacono: «ecco finalmente che abbiamo trovato il modo in cui anche il diacono può dare sul serio una mano, nella benedizione annuale delle famiglie!» (faccenda oggetto di amore-odio da parte di molti preti). Altri, specie se hanno più di una parrocchia, vedono l’utilità del diacono nel delegargli le celebrazioni domenicali in assenza di presbitero, magari in certe scomode località di montagna.
Da notare che finora sotto l’occhio del riflettore è caduta solo quella parte della diaconia ordinata che riguarda la liturgia; molti non sanno neppure vedere i restanti e complementari ambiti dell’annuncio della Parola e dell’animazione della carità; si finisce col credere che la ministerialità diaconale viva solo in ambito liturgico e si riduca a un «sacrestanato» o peggio a un «chierichettato» di lusso, se non ridicolo. Dietro la teologia dei poteri che abbiamo appena sottolineato, si cela una visione clericale della Chiesa, ridotta a quello che possono fare in senso esclusivo i preti, chiamati a loro volta semplicemente ad ammettere altri a collaborare con le proprie facoltà. Ma fermarsi alla sola considerazione dei poteri dei singoli gradi del sacramento dell’Ordine porta ad un vicolo cieco. In tale prospettiva, per esempio, nel medioevo non si riusciva a rendere ragione della reale distinzione fra l’episcopato e il presbiterato: se l’essenza del sacerdozio cristiano è posta solo ed esclusivamente nel potere di consacrare l’eucaristia, la differenza fra un vescovo e un prete è solo di giurisdizione (più ampia per il primo), ma non di ordine. Come sappiamo, recuperando una visione di Chiesa più aderente alla Tradizione, il Vaticano II ha definitivamente superato tali concezioni (che però sono dure a morire).
Più che domandarsi «a che servono i diaconi», occorre chiedersi «chi sono» e cogliere la loro specificità più sul piano dell’essere che del fare; quindi, maggiore attenzione all’identità piuttosto che ai compiti. Tanto più che il Concilio non ha inteso semplicemente restaurare una figura ministeriale esistita nel primo millennio e scomparsa di fatto nel secondo, ma recuperare un ministero di istituzione divino-apostolica e trasmesso ininterrottamente nella Chiesa ma oggi aperto ai bisogni ecclesiali e quindi multiforme, flessibile nella sua attuazione concreta anche a seconda delle situazioni.
In fondo, è vero che tutto quello che fanno i diaconi potrebbero farlo anche i laici, ma i diaconi lo fanno come ministri della Chiesa, lo fanno per vocazione e missione canonica (e questa, lo si intuisce subito, è una cosa non da poco e che fa differenza). I diaconi, che diventano tali ricevendo il sacramento dell’Ordine, rendono ministerialmente evidente che la Chiesa si fonda sulla grazia di Dio dispensata nei sacramenti e non sulle capacità umane o sulla buona volontà gestita con la logica del part – time; manifestano che non ogni servizio è diaconia e che per essere tale un servizio reso dalla Chiesa deve avere certe determinate caratteristiche cristologiche; ricevono la grazia di collaborare nell’animare dall’interno tutta la comunità al servizio e contribuiscono alla sua strutturazione nella varietà e complementarietà dei ministeri ordinati e battesimali.
No, non è proprio la stessa cosa avere o non avere i diaconi nella Chiesa locale e nelle comunità parrocchiali.
– See more at: http://www.toscanaoggi.it/Vita-Chiesa/Diaconi-permanenti-Ma-a-cosa-servono#sthash.NqCmJO9I.dpuf