L’umiltà, ieri come oggi, è una pratica difficile da vivere e San Benedetto consapevole delle notevoli difficoltà a viverla anche da parte del monaco indica 12 gradini da percorrere. In questo settimo capitolo della Regola San Benedetto cita ampiamente la Scrittura e lo fa con l’intenzione di dare più forza al cammino che propone di compiere per essere umili.
- La sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando a gran voce: “Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
- Così dicendo, ci fa intendere che ogni esaltazione è una forma di superbia,
- dalla quale il profeta mostra di volersi guardare quando dice: “Signore, non si è esaltato il mio cuore, né si è innalzato il mio sguardo, non sono andato dietro a cose troppo grandi o troppo alte per me”.
- E allora? “Se non ho nutrito sentimenti di umiltà, se il mio cuore si è insuperbito, tu mi tratterai come un bimbo svezzato dalla propria madre”.
- Quindi, fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell’umiltà e arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l’umiliazione della vita presente,
- bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli.
- Non c’è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con l’umiltà si sale.
- La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se il cuore è umile, Dio solleva fino al cielo;
- noi riteniamo infatti che i due lati della scala siano il corpo e l’anima nostra, nei quali la divina chiamata ha inserito i diversi gradi di umiltà o di esercizio ascetico per cui bisogna salire.