Salire i 12 gradini dell’umilta è un’impresa che richiede impegno e volontà, senso del peccato e rifiuto della malizia.
Ma leggiamo cosa scrive San Benedetto nella sua Regola.
- Dunque il primo grado dell’umiltà è quello in cui, rimanendo sempre nel santo timor di Dio, si fugge decisamente la leggerezza e la dissipazione,
- si tengono costantemente presenti i divini comandamenti e si pensa di continuo all’inferno, in cui gli empi sono puniti per i loro peccati, e alla vita eterna preparata invece per i giusti.
- In altre parole, mentre si astiene costantemente dai peccati e dai vizi dei pensieri, della lingua, delle mani, dei piedi e della volontà propria, come pure dai desideri della carne,
- l’uomo deve prendere coscienza che Dio lo osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e sono di continuo riferite dagli angeli.
- E’ ciò che ci insegna il profeta, quando mostra Dio talmente presente ai nostri pensieri da affermare: “Dio scruta le reni e i cuori”
- come pure: “Dio conosce i pensieri degli uomini”.
- Poi aggiunge: “Hai intuito di lontano i miei pensieri”
- e infine: “Il pensiero dell’uomo sarà svelato dinanzi a te”.
- Quindi, per potersi coscienziosamente guardare dai cattivi pensieri, bisogna che il monaco vigile e fedele ripeta sempre tra sé: “Sarò senza macchia dinanzi a lui, solo se mi guarderò da ogni malizia”.
- Ci è poi vietato di fare la volontà propria, dato che la Scrittura ci dice: “Allontanati dalle tue voglie”
- e per di più nel Pater chiediamo a Dio che in noi si compia la sua volontà.
- Perciò ci viene giustamente insegnato di non fare la nostra volontà, evitando tutto quello di cui la Scrittura dice: “Ci sono vie che agli uomini sembrano diritte, ma che si sprofondano negli abissi dell’inferno”
- e anche nel timore di quanto è stato affermato riguardo ai negligenti: “Si sono corrotti e sono divenuti spregevoli nella loro dissolutezza”.
- Quanto poi alle passioni della nostra natura decaduta, bisogna credere ugualmente che Dio è sempre presente, secondo il detto del profeta: “Ogni mio desiderio sta davanti a te”.
- Dobbiamo quindi guardarci dalle passioni malsane, perché la morte è annidata sulla soglia del piacere.
- Per questa ragione la Scrittura prescrive: “Non seguire le tue voglie”.
- Se dunque “gli occhi di Dio scrutano i buoni e i cattivi”
- e se “il Signore esamina attentamente i figli degli uomini per vedere se vi sia chi abbia intelletto e cerchi Dio”,
- se a ogni momento del giorno e della notte le nostre azioni vengono riferite al Signore dai nostri angeli custodi,
- bisogna, fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo e,
- pur risparmiandoci per il momento, perché è misericordioso e aspetta la nostra conversione, debba dirci in avvenire: “Hai fatto questo e ho taciuto”.
- Il secondo grado dell’umiltà è quello in cui, non amando la propria volontà, non si trova alcun piacere nella soddisfazione dei propri desideri,
- ma si imita il Signore, mettendo in pratica quella sua parola, che dice: “Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato”.
- Cosa” pure un antico testo afferma: “La volontà propria procura la pena, mentre la sottomissione conquista il premio”.
- Terzo grado dell’umiltà è quello in cui il monaco per amore di Dio si sottomette al superiore in assoluta obbedienza, a imitazione del Signore, del quale l’Apostolo dice: “Fatto obbediente fino alla morte”.
- Il quarto grado dell’umiltà è quello del monaco che, pur incontrando difficoltà, contrarietà e persino offese non provocate nell’esercizio dell’obbedienza, accetta in silenzio e volontariamente la sofferenza
- e sopporta tutto con pazienza, senza stancarsi né cedere secondo il monito della Scrittura: ” Chi avrà sopportato sino alla fine questi sarà salvato”.
- E ancora: “Sia forte il tuo cuore e spera nel Signore”.
- E per dimostrare come il servo fedele deve sostenere per il Signore tutte le possibili contrarietà, esclama per bocca di quelli che patiscono: “Ogni giorno per te siamo messi a morte, siamo trattati come pecore da macello”.
- Ma con la sicurezza che nasce dalla speranza della divina retribuzione, costoro soggiungono lietamente: “E di tutte queste cose trionfiamo in pieno, grazie a colui che ci ha amato”,
- mentre altrove la Scrittura dice: “Ci hai provato, Signore, ci hai saggiato come si saggia l’argento col fuoco; ci hai fatto cadere nella rete, ci hai caricato di tribolazioni”.
- E per indicare che dobbiamo assoggettarci a un superiore, prosegue esclamando: “Hai posto degli uomini sopra il nostro capo”.
- Quei monaci, però, adempiono il precetto del Signore, esercitando la pazienza anche nelle avversità e nelle umiliazioni, e, percossi su una guancia, presentano l’altra, cedono anche il mantello a chi strappa loro di dosso la tunica, quando sono costretti a fare un miglio di cammino ne percorrono due,
- come l’Apostolo Paolo sopportano i falsi fratelli e ricambiano con parole le offese e le ingiurie.
- Il quinto grado dell’umiltà consiste nel manifestare con un’umile confessione al proprio abate tutti i cattivi pensieri che sorgono nell’animo o le colpe commesse in segreto,
- secondo l’esortazione della Scrittura, che dice: “Manifesta al Signore la tua via e spera in lui”.
- E anche: “Aprite l’animo vostro al Signore, perché è buono ed eterna è la sua misericordia”,
- mentre il profeta esclama: “Ti ho reso noto il mio peccato e non ho nascosto la mia colpa.
- Ho detto: “confesserò le mie iniquità dinanzi al Signore” e tu hai perdonato la malizia del mio cuore”.
- Il sesto grado dell’umiltà è quello in cui il monaco si contenta delle cose più misere e grossolane e si considera un operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto quello che gli impone l’obbedienza,
- ripetendo a se stesso con il profeta: “Sono ridotto a nulla e nulla so; eccomi dinanzi a te come una bestia da soma, ma sono sempre con te”.
- Il settimo grado dell’umiltà consiste non solo nel qualificarsi come il più miserabile di tutti, ma nell’esserne convinto dal profondo del cuore,
- umiliandosi e dicendo con il profeta: “Ora io sono un verme e non un uomo, l’obbrobrio degli uomini e il rifiuto della plebe”;
- “Mi sono esaltato e quindi umiliato e confuso”
- e ancora: “Buon per me che fui umiliato, perché imparassi la tua legge”.
- L’ottavo grado dell’umiltà è quello in cui il monaco non fa nulla al di fuori di ciò a cui lo sprona la regola comune del monastero e l’esempio dei superiori e degli anziani.
- Il nono grado dell’umiltà è proprio del monaco che sa dominare la lingua e, osservando fedelmente il silenzio, tace finché non è interrogato,
- perché la Scrittura insegna che “nelle molte parole non manca il peccato”
- e che “l’uomo dalle molte chiacchiere va senza direzione sulla terra”.
- Il decimo grado dell’umiltà è quello in cui il monaco non è sempre pronto a ridere, perché sta scritto: “Lo stolto nel ridere alza la voce”.
- L’undicesimo grado dell’umiltà è quello nel quale il monaco, quando parla, si esprime pacatamente e seriamente, con umiltà e gravità, e pronuncia poche parole assennate, senza alzare la voce,
- come sta scritto: “Il saggio si riconosce per la sobrietà nel parlare”.
- Il dodicesimo grado, infine, è quello del monaco, la cui umiltà non è puramente interiore, ma traspare di fronte a chiunque lo osservi da tutto il suo atteggiamento esteriore,
- in quanto durante l’Ufficio divino, in coro, nel monastero, nell’orto, per via, nei campi, dovunque, sia che sieda, cammini o stia in piedi, tiene costantemente il capo chino e gli occhi bassi;
- e, considerandosi sempre reo per i propri peccati, si vede già dinanzi al tremendo giudizio di Dio,
- ripetendo continuamente in cuor suo ciò che disse, con gli occhi fissi a terra il pubblicano del Vangelo: “Signore, io, povero peccatore, non sono degno di alzare gli occhi al cielo”.
- E ancora con il profeta: “Mi sono sempre curvato e umiliato”.
- Una volta ascesi tutti questi gradi dell’umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che quando è perfetta, scaccia il timore;
- per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza alcuno sforzo e quasi naturalmente, grazie all’abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa paura;
- in altre parole non più per timore dell’inferno, ma per amore di Cristo, per la stessa buona abitudine e per il gusto della virtù.
- Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere manifesti nel suo servo, purificato ormai dai vizi e dai peccati.