Il capitolo si apre con due solenni principi fondati su due frasi del Signore: bisogna aver cura dei malati prima di tutto e soprattutto – espressione assoluta ed energica – e servire a loro come a Cristo in persona; seguono le due citazioni di Mt.25,36 e 40. I monaci opereranno di conseguenza, ma San Benedetto aggiunge una frase, grave, ma pacata, anche per gli infermi a non essere petulanti e troppo pretenziosi o addirittura capricciosi. Comunque, anche ammesso che i fratelli malati diventino cosi` strani – come puo` succedere a causa del male – gli altri devono sopportarli in ogni caso. La prima parte del capitolo si chiude con una ammonizione categorica all’abate affinche` si prenda “somma cura” degli infermi.
- L’assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in persona,
- il quale ha detto di sé: “Sono stato malato e mi avete visitato”,
- e: “Quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me”.
- I malati però riflettano, a loro volta, che sono serviti per amore di Dio e non opprimano con eccessive pretese i fratelli che li assistono,
- ma comunque bisogna sopportarli con grande pazienza, poiché per mezzo loro si acquista un merito più grande.
- Quindi l’abate vigili con la massima attenzione perché non siano trascurati sotto alcun riguardo.
- Per i monaci ammalati ci sia un locale apposito e un infermiere timorato di Dio, diligente e premuroso.
- Si conceda loro l’uso dei bagni, tutte le volte che ciò si renderà necessario a scopo terapeutico; ai sani, invece, e specialmente ai più giovani venga consentito più raramente.
- I malati più deboli avranno anche il permesso di mangiare carne per potersi rimettere in forze; però, appena ristabiliti, si astengano tutti dalla carne come al solito.
- Ma la più grande preoccupazione dell’abate deve essere che gli infermi non siano trascurati dal cellerario e dai fratelli che li assistono, perché tutte le negligenze commesse dai suoi discepoli ricadono su di lui.