Opus Dei e` l’occupazione principale del monaco, pero` non e` l’unica. Il rimanente tempo va distribuito tra lavoro manuale e lectio divina. Quindi il titolo non abbraccia tutto il contenuto del capitolo. In realta` in queste pagine abbiamo tutto l’orario della giornata, con la saggia distribuzione del tempo tra OPUS DEI, LECTIO DIVINA, LAVORO MANUALE, i tre grandi cardini della vita monastica. La regola di San Benedetto all’art. 48 corrisponde alla regola del Maestro. In quest’ultima l’orario e` visto soprattutto alla luce dell’Ufficio divino: si tratta di occupare il tempo tra un ufficio e l’altro; nella Regola di San Bendetto ha uno scopo eminentemente pratico: interessandogli l’ordinamento delle occupazioni dei monaci tra lavoro e lectio, San Bendetto non teme neanche di spostare alcune ore dell’Ufficio divino (terza, sesta e nona), cosa che altrove era soltanto eccezionale. La Regola di San Benedetto considera piuttosto il ritmo della vita umana con le sue alternanze di sforzo e di riposo, di lavoro spirituale e di lavoro materiale.
- L’ozio è nemico dell’anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio.
- Quindi pensiamo di regolare gli orari di queste due attività fondamentali nel modo seguente:
- da Pasqua fino al 14 settembre, al mattino verso le 5 quando escono da Prima, lavorino secondo le varie necessità fino alle 9;
- dalle 9 fino all’ora di Sesta si dedichino allo studio della parola di Dio.
- Dopo l’Ufficio di Sesta e il pranzo, quando si alzano da tavola, riposino nei rispettivi letti in assoluto silenzio e, se eventualmente qualcuno volesse leggere per proprio conto, lo faccia in modo da non disturbare gli altri.
- Si celebri Nona con un po’ di anticipo, verso le 14, e poi tutti riprendano il lavoro assegnato dall’obbedienza fino all’ora di Vespro.
- Ma se le esigenze locali o la povertà richiedono che essi si occupino personalmente della raccolta dei prodotti agricoli, non se ne lamentino,
- perché i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli.
- Tutto però si svolga con discrezione, in considerazione dei più deboli.
- Dal 14 settembre, poi, fino al principio della Quaresima, si applichino allo studio fino alle 9,
- quando celebreranno l’ora di Terza, dopo la quale tutti saranno impegnati nei rispettivi lavori fino a Nona, e cioè alle 14.
- Al primo segnale di Nona, ciascuno interrompa il proprio lavoro per essere pronto al suono del secondo segnale.
- Dopo il pranzo si dedichino alla lettura personale o allo studio dei salmi.
- Durante la Quaresima leggano dall’alba fino alle 9 inoltrate e poi lavorino in conformità agli ordini ricevuti fino verso le 4 pomeridiane.
- In quei giorni di Quaresima ciascuno riceva un libro dalla biblioteca e lo legga ordinatamente da cima a fondo.
- I suddetti libri devono essere distribuiti all’inizio della Quaresima.
- E per prima cosa bisognerà incaricare uno o due monaci anziani di fare il giro del monastero nelle ore in cui i fratelli sono occupati nello studio,
- per vedere se per caso ci sia qualche monaco indolente, che, invece di dedicarsi allo studio, perda, tempo oziando e chiacchierando e quindi, oltre a essere improduttivo per sé, distragga anche gli altri.
- Se si trovasse – non sia mai! – un fratello che si comporta in questo modo, sia rimproverato una prima e una seconda volta,
- ma se non si corregge, gli si infligga una punizione prevista dalla Regola, in modo da incutere anche negli altri un salutare timore.
- Non è neppure permesso che un monaco si trovi con un altro fuori del tempo stabilito.
- Anche alla domenica si dedichino tutti allo studio della parola di Dio, a eccezione di quelli destinati ai vari servizi.
- Ma se ci fosse qualcuno tanto negligente e fannullone da non volere o poter studiare o leggere, gli si dia qualche lavoro da fare, perché non rimanga in ozio.
- Infine ai monaci infermi o cagionevoli si assegni un lavoro o un’attività che non li lasci nell’inazione e nello stesso tempo non li sfinisca per l’eccessiva fatica, spingendoli ad andarsene,
- poiché l’abate ha il dovere di tener conto della loro debolezza.