Gli anacoreti copti si mostravano restii all’ordinazione; i pacomiani la rifiutavano in assoluto; in Sitia i migliori monaci si opponevano a che i vescovi imponessero loro le mani. Sacerdozio e monachesimo sono realta` distinte: uno e` per il servizio ministeriale del popolo di Dio attraverso la Parola e i Sacramenti, l’altro e` per lo sforzo di realizzare nella solitudine la perfezione dell’unione con Cristo. Desiderare il sacerdozio per i monaci antichi era segno di superbia; i monaci avevano paura del sacerdozio; sacerdozio e orgoglio vanagloria sono termini spesso associati nei loro scritti (per esempio Cassiano, Inst.11,14-18; Coll.4,20; 5,12). Avevano paura che a motivo del sacerdozio dovessero lasciare la loro vita isolata per il ministero: “il monaco deve fuggire allo stesso modo i vescovi e le donne”, secondo il celebre detto di Cassiano (Inst.11,18).
L’ordinazione di alcuni monaci per il servizio della comunita` poteva dare origine a dispute, invidie, divisioni, problemi di autorita` e di precedenza. Era un rischio. In questo contesto si comprende il c.62 di SB. Oggi, evidentemente, la situazione e la mentalita` sono mutate, la teologia ha aperto una nuova visione. Oggi sarebbe a dir poco ridicolo accettare con la odierna mentalita` l’espressione di Cassiano cosi` come suona…; ma non e` che Cassiano avesse torto: se anche noi oggi avessimo, del “vescovo e della donna”, l’immagine pratica ed esterna che queste categorie immediatamente evocavano, non c’e` dubbio che dovremmo avere la stessa reazione. La realta` spirituale (la teologia) e` la stessa, l’immagine e la situazione esterna e contingente sono mutate. Ma anche oggi, del resto, non mancano aspetti di conflitto esteriore tra “vescovi e gerarchia” e religiosi; non per nulla e` stato necessario il documento pontificio “Mutuae Relationes”.
- Se un abate desidera che uno dei suoi monaci sia ordinato sacerdote o diacono per il servizio della comunità scelga in essa un fratello degno di esercitare tali funzioni.
- Ma il monaco ordinato si guardi dalla vanità e dalla superbia
- e non creda di poter fare altro che quello che gli ordina l’abate, tenendo sempre presente che d’ora in poi dovrà essere maggiormente sottomesso alla disciplina.
- Né col pretesto del sacerdozio trascuri l’obbedienza alla Regola o la disciplina, ma anzi progredisca sempre più nelle vie di Dio.
- Conservi sempre il posto che gli spetta in corrispondenza del suo ingresso in monastero,
- tranne che per il ministero dell’altare, oppure nel caso che la scelta della comunità o la volontà dell’abate l’abbiano promosso in considerazione della sua vita esemplare.
- Sappia però che deve osservare la disciplina prestabilita per i decani e i superiori.
- Se avrà la presunzione di agire diversamente, non sia più trattato come un sacerdote, ma come un ribelle.
- E nell’eventualità che, dopo essere stato ammonito non si correggesse, si chiami a testimonio anche il vescovo.
- Ma se neanche allora si emendasse e le sue colpe diventassero sempre più evidenti, sia espulso dal monastero,
- purché però sia stato così ostinato da non volersi sottomettere e obbedire alla Regola.