” SILENZIO ” di Madre Annamaria Canopi.
Il silenzio diventa forza per portare la prova.
Il lamentarsi, il discutere, il parlare delle difficoltà
fa invece diminuire le forze.
Di fronte alle prove personali, prima di ribellarsi,
prima di ragionare sulla situazione,
bisogna mettersi in silenzio, attendere umilmente
che Dio ci manifesti il suo disegno,
credendo di essere sempre e ancor più nelle sue mani.
Spesso anche quando non parliamo,
quanto frastuono c’è in noi!
Ci conceda il Signore di portare in silenzio
il peso, la molestia della giornata, riposando in lui,
nella certezza che egli ha cura di noi.
Comprenderete che nel vivere cercando il Signore nella calma, nel silenzio, nel raccoglimento,
nella profonda attenzione a lui, nella fiducia
sta la vostra forza,
non nell’agitarvi…
Il Signore non è nel turbamento.
E’ il tempo del silenzio,
della povertà, dell’assenza, dell’umiltà, dell’attesa.
E lo scopo di questa solitudine silenziosa
è l’ascolto del Signore
che parla di nuovo al cuore della sua Sposa:
la Chiesa, l’anima nostra.
Tu starai quieta,
e io pure starò solo, in attesa
— dice il Signore —.
Tu starai calma, sola, vicino a me, in silenzio,
e io pure in silenzio, solo, vicino a te.
E’ la vigilia.
Poi sarà l’unione, l’alleanza.
E dal silenzio fiorirà la gioia della festa.
E’ una chiamata forte, irresistibile,
a compiere la volontà di Dio.
Far tacere la propria volontà
e aderire silenziosamente a Dio:
questa è la comunione con il Signore
che ci fa essere un solo spirito con lui.
Deve tacere tutto il mondo che è in noi:
mondo di confusione, di vanità,
di ansietà, di miseria.
Portiamo questo nostro mondo al cospetto di Dio,
e mettiamolo in silenzio, perché giunga all’adorazione.
Un silenzio che è umiltà,
che è accettazione del mistero,
accettazione di non capire,
ma di credere che ogni evento della storia
è guidato da Dio
e porta avanti il cammino di salvezza per tutti.
Questo silenzio alla presenza del Signore
in pratica diventa saper tacere con umiltà vera
davanti ai nostri fratelli.
E un silenzio che deve porre un freno
ai propri impulsi, alle proprie idee,
all’amore di sé, all’orgoglio, alla presunzione.
Un silenzio che si vive col non essere ribelli, diffidenti,
col non mormorare, non giudicare,
non difendersi, non darsi ragione,
ma riconoscersi poveri e attendere la salvezza
da un Dio che si è fatto Povero. Quando l’io parla, Dio tace;
perché quando l’ io parla
non sa più ascoltare,
ma si mette in dialogo con il maligno,
e si lascia pervertire l’orecchio dalle sue menzogne.
Non inganniamoci con falsi silenzi:
il silenzio vero è, prima di tutto,
quello che fa tacere noi stessi.
Se non facciamo tacere l’ io, possiamo andare
anche nel deserto più deserto,
ma è un’illusione:
ci rimane l’ostacolo maggiore, quello che ci separa da Dio,
Nei nostri rapporti interpersonali
quante volte salta fuori
questo terribile personaggio — l’ io—
che si mette in conflitto con gli altri,
e fa tanto chiasso da stordirci,
da non renderci più capaci
di essere presenti al Signore,
di intendere la sua voce,
di gustare le cose dell’alto, di sperimentare il mistero di Cristo
che è mistero di umiltà, di silenzio, di povertà,
di abnegazione.
Lo sguardo del Signore si posa sugli umili:
è uno sguardo che mette a nudo
tutto il bene e tutto il male che c’e nell’uomo.
Davanti alla realtà del male che è in noi e negli altri,
che cosa possiamo fare,
se non uscire da noi stessi, entrare nel suo santo tempio
in silenzio, con umiltà,
e spalancare il nostro sguardo su di lui, il Santo?
Soltanto se ci trova prostrati, umili, in silenzio di compunzione
egli ci avvolge con il suo sguardo di compassione
e ci solleva.
Il Signore ci renda capaci
di un servizio che non si proclama, non si esalta,
non si ri-dice, non si racconta, non si fa pagare.
Un servizio che diventa sempre più
conosciuto solo da Dio,
e che, giunta la sera,
lascia sempre nell’animo la sofferta, sincera convinzione
di essere stati servi inutili.