Educati all’accoglienza e al servizio dei malati

“Diaconi educati all’accoglienza e al servizio dei malati”, su questo tema, dal 2 al 5 agosto scorso, si è svolto, a Cefalù, presso l’Hotel “Torre Normanna” di Altavilla Milicia, il XXVI  Convegno Nazionale dei Diaconi, organizzato dalla Comunità del Diaconato in Italia, in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per la Pastorale della salute e la diocesi di Cefalù.

La Comunità del diaconato in Italia, presieduta dal diacono Enzo Petrolino, che organizza il Convegno Nazionale ogni due anni, questa volta, per l’approfondimento e la riflessione, ha scelto una tematica in riferimento al servizio e all’accoglienza che i diaconi devono svolgere nel loro impegno ministeriale, perché l’accoglienza e il servizio ai malati rappresentano “due nuove sfide su cui i diaconi devono impegnarsi concretamente e fattivamente” ha dichiarato Petrolino, “per essere – come il Papa ha recentemente detto durante la sua visita a Milano – custodi nella Chiesa del servizio”.

Il Convegno aperto, oltre che ai diaconi e alle loro famiglie e ai delegati vescovili, anche agli aspiranti e ai candidati al diaconato e ai laici, ha avuto inizio il pomeriggio di giorno 2 agosto, con la celebrazione d’apertura presieduta da S.E. Mons. Arturo Aiello, Vescovo di Teano e Delegato per il Diaconato Commissione Episcopale Clero e Vita Consacrata e con il saluto del Vescovo di Cefalù, Mons. Vincenzo Manzella, il quale ha ricordato quanto la Sicilia oggi,  sia impegnata nell’accoglienza di “coloro che bussano alle porte delle nostre coste e nell’affrontare nuove forme di povertà”. “Voi qui siete segno di speranza”, ha aggiunto il Vescovo rivolgendosi ai diaconi giunti da tutta Italia, “voi che tendete la mano allo sfiduciato e rialzate chi non può più risollevarsi da terra”.

Di seguito i saluti ai convegnisti di don Calogero Cerami, Direttore del Centro “Madre del Buon Pastore” della Conferenza Episcopale Siciliana (CESI), componente del Consiglio Nazionale del Diaconato, di don Carmine Arice, Direttore Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI e di Enzo Petrolino, Presidente Comunità del diaconato in Italia e di Don Carmelo La Magra, parroco di Lampedusa, l’isola che da diversi anni è il crocevia di migrazioni di popoli e, specie negli ultimi anni, l’approdo di molti fratelli fuggiti da guerre, persecuzioni e fame.

Don Carmelo ha ricordato, inoltre, che tra i migranti, molti di loro sono cristiani che, prima dei beni di prima necessità, quasi sempre, chiedono una Bibbia». Richiesta che i Convegnisti hanno accolto, tra i due impegni del Convegno, con la raccolta fondi per comprare Bibbie in varie lingue da mettere a disposizione dei rifugiati che sbarcano in Italia e di fare del prossimo 19 novembre – giornata che il Papa ha dedicato ai poveri – “un momento in cui i diaconi si impegnino a lasciare che gli ultimi siano i protagonisti in ogni liturgia eucaristica”.

E’ seguita poi, come da programma, la relazione introduttiva dal titolo: “Il servo del Signore. Il mistero della sofferenza nella storia della salvezza e l’atteggiamento di Gesù verso i malati” curata dal Prof. Padre Giulio Michelini ofm, Docente di teologia biblica, Responsabile nella diocesi di Perugia della formazione dei candidati al diaconato, il quale si è soffermato, tra l’altro, sull’importanza di “compiere alcuni gesti che Gesù ha compiuto: avvicinarsi ai malati, chinarsi su di loro, rivolgere loro parole di consolazione, farsi carico di alcune situazioni particolari, per le quali sarà possibile fare “di più”, “prendersi cura,  avvicinare, reinserire i poveri e gli ammalati, nel contesto sociale”.

Subito dopo la cena, alle ore 21,30, la proiezione del video “Dentro la diaconia: un viaggio tra le realtà diaconali del mondo”, ci ha fatto conoscere alcune iniziative e progetti del diaconato nel mondo.

Giorno 3 agosto, dopo la celebrazione delle lodi mattutine con la lectio del bravissimo biblista don Luca Bassetti, è stata la volta di Enzo Petrolino con la relazione: “Il servizio dei ha parlato della sua vita di moglie di diaconi ai malati e ai sofferenti nella tradizione della Chiesa”. Una relazione che ad iniziare dai primi secoli, ha ricordato l’impegno dei diaconi a favore dei malati. E’ stata poi, la volta, di Marie Françoise Maincent Hanquez, componente del Comitato Nazionale del diaconato francese, come rappresentante delle mogli dei diaconi ed autrice del volume “Les femmes dans le ministère de Jésus de l’ombre à la lumière?”, la quale, con molta chiarezza e concretezza, ha raccontato la sua esperienza di moglie di un diacono, delle difficoltà, ma anche e soprattutto dell’importanza dell’aiuto e della collaborazione che la sposa del diacono può dare.

Di seguito Giuseppe Colona, Ornella Di Simone e don Luca Garbinetto hanno introdotto i gruppi di lavoro, l’incontro con le spose e l’incontro con i delegati. Nel pomeriggio dopo gli adempimenti assembleari con la programmazione dell’attività associativa, la relazione di S.E. Mons. Gianluigi Ruzza, Vescovo Ausiliare della Diocesi di Roma, Delegato per il diaconato, sul tema “Diaconi coraggiosi testimoni della buona notizia ai più deboli e ai poveri”, il quale si è soffermato sui diaconi “protagonisti del sogno di Papa Francesco”, che stanno “nella frontiera della società” per “portare misericordia”. Dopo la relazione, come da programma, tutti i partecipanti al Convegno si sono trasferiti a Monreale dove l’Arcivescovo S.E. Mons. Michele Pennisi, responsabile della pastorale della salute della CESI, ha presieduto una solenne concelebrazione Eucaristica e di seguito la visita guidata alla splendida Cattedrale di Monreale.

Il giorno dopo, venerdì 4 agosto, la giornata è iniziata con le Lodi mattutine e la lectio di Don Luca Bassetti. Di seguito la relazione di don Carmine Arice, dal titolo “Ero malato e mi avete visitato. I diaconi a servizio della cura dei malati in un contesto multietnico e multireligioso”.  Don Arice ha evidenziato come i diaconi “aiutano la comunità a rendere concreto il servizio della Parola, dell’evangelizzazione e della carità, specialmente con i poveri e gli ultimi”. Di seguito la continuazione dei lavori di gruppo, la relazione della Prof.ssa Cettina Militello, Direttrice della Cattedra “Donna e Cristianesimo”, della Pontificia Facoltà Marianum, sul tema “Donne a servizio dei malati e dei sofferenti.

Il pomeriggio altra trasferta nella Cattedrale di Cefalù dove si è svolta una “tavola rotonda”, introdotta e moderata dal diacono Tonino Cantelmi, Vice Presidente nazionale della Comunità del Diaconato sul tema “Diaconi educati all’accoglienza e al servizio dei malati”, con le testimonianze di don Massimo Angelelli, don Mario Torracca, del diac. Nazareno Iacopini, del diac. Guido Miccinesi, del diac. Michele Sardella e della Dott.ssa Rita Zafonte. Sempre nella Cattedrale è seguito un percorso iconografico tra storia e presente guidato da Mons. Crispino Valenziano, uno dei massimi esperti a livello mondiale in arte sacra, Presidente dell’Accademia Teologica “Via Pulchritudinis”, e sapiente guida nel comprendere e gustare la splendida arte della Cattedrale di Cefalù. Al termine la solenne celebrazione eucaristica presieduta da S.E. Mons. Vincenzo Manzella, Vescovo di Cefalù, il quale, dopo aver invitato, ancora una volta, i diaconi a “prendersi cura” dei malati, li ha invitati ad essere speranza per chi attende conforto e consolazione.  

L’ultima giornata, sabato 5 agosto, è iniziata sempre con la celebrazione delle lodi mattutine e della lectio. Di seguito l’intervento di Sua Eminenza il cardinale Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento, Presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute e Presidente di Caritas Italiana, che, inoltre, ha concluso il Convegno, presiedendo la concelebrazione Eucaristica. Nel suo intervento sul tema “Per una diaconia dell’accoglienza”, il Cardinale Montenegro, con la semplicità, l’umiltà e la concretezza che lo contraddistingue, ha ricordato ai diaconi che “la strada da percorrere non porta all’altare soltanto, ma porta, soprattutto, nel mondo e, in particolare, nel mondo della sofferenza, delle periferie, dei poveri”. Ha ricordato come il “diacono è infatti, l’uomo che sta sull’uscio che guarda dentro e fuori e il suo compito è di aiutare la comunità a vivere la preghiera per farla diventare azione e portare Dio nel mondo con i gesti di carità”. “Il diaconato – ha aggiunto il Cardinale – acquisterà senso nella misura in cui i diaconi saranno uomini di strada e sapranno stare accanto al povero nella realizzazione del regno”.

La sintesi dei lavori di gruppo, delle spose e dei delegati e gli interventi conclusivi di Don Carmine Arice e di Enzo Petrolino, hanno chiuso i lavori del convegno. Don Carmine Arice, in particolare, si è rivolto alle mogli dei diaconi “Voi mogli siete state scelte ed elette per questo ruolo perché la chiamata è per entrambi. Siate sfondo di un amore che permette al diacono di coniugare i due sacramenti del matrimonio e del diaconato”. Quindi ha messo in guardia i diaconi. “Attenzione a non diventare faccendieri nella chiesa di Dio, piuttosto fatevi fecondare dalla parola perché il diacono deve essere un uomo di Dio che ha un rapporto con Cristo servo”. Di seguito Enzo Petrolino, nel suo intervento conclusivo, ha invitato i confratelli ad essere ministri di speranza. “La diaconia della speranza non può essere disgiunta dal diaconato che deve cambiare il volto della comunità e rinnovare la chiesa. Su questo ci giochiamo il nostro futuro e ciò dipende dagli stessi diaconi nella misura in cui sapremo fare vivere la diaconia dandole concretezza e visibilità nelle comunità”. Infine, dopo aver accolto le proposte che un membro dei diaconi entri a fare parte della Consulta nazionale per la pastorale della salute, che venga costituto un gruppo di lavoro sul tema diaconato e pastorale della salute che annualmente proponga una giornata di studio e siano promosse una serie di pubblicazioni su diaconi e la pastorale della salute, Enzo Petrolino, ha annunciato che il prossimo Convegno nazionale del Diaconato del 2019 sarà celebrato a Vicenza, su invito del Vescovo Mons. Beniamino Pizziol, in occasione del 50° anniversario dell’ordinazione dei primi diaconi religiosi della “Pia società San Gaetano”.

Non possiamo chiudere, infine, senza evidenziare l’importante presenza al Convegno Nazionale, della Famiglia diaconale della nostra Diocesi di Oppido Mamertina – Palmi che, oltre ad esprimere il Segretario Nazionale del Diaconato, costituiva anche il gruppo più numeroso, tra le Diocesi presenti, con 31 partecipanti. Il nostro particolare grazie al nostro Vescovo per la sua attenzione al Diaconato permanente nella nostra Diocesi e per l’aiuto concreto nell’occasione, e al nostro Delegato Vescovile, don Giovanni Battista Tillieci, sempre presente, attento e premuroso con i partecipanti e disponibile a dare il suo contributo al convegno con interventi interessanti e concreti.

Bella la comunione tra i Diaconi della nostra Diocesi partecipanti e le famiglie, specialmente, le spose e i figli. Possiamo dire che è stata una esperienza importante per la crescita spirituale e pastorale di ognuno, che speriamo possa far crescere anche quella diocesana.

 Cecè Alampi

 

Francesco indica i diaconi come custodi del servizio

Qualche giorno abbiamo fatto festa per San Lorenzo, diacono e martire. È stata una bella occasione per riflettere sul diaconato e i diaconi. Vi proponiamo cosa ne pensa papa Francesco che vede la Chiesa, in linea con il.Concilio Vaticano II, come popolo di Dio. Ebbene il papa rispondendo ad una domanda parla dei diaconi come uomini del servizio, uomini che ricordano a tutti che siamo chiamati a servire e non a comandare, che siamo chiamati ad amare, che siamo chiamati a donare misericordia, che il diacono è il custode del servizio nella Chiesa ed ha compiti e funzioni diverse da quelle degli altri ministeri ordinati. Ma leggiamo direttamente le parole di papa Francesco.

Roberto Crespi, diacono permanente

Santità, buongiorno. Sono Roberto, diacono permanente. Il diaconato è entrato nel nostro clero nel 1990 e attualmente siamo 143, non è un numero grande ma è un numero significativo. Siamo uomini che vivono pienamente la propria vocazione, quella matrimoniale o quella celibataria ma vivono anche pienamente il mondo del lavoro e della professione e portiamo quindi nel clero del mondo della famiglia e del mondo del lavoro, portiamo tutte quelle dimensioni della bellezza e dell’esperienza ma anche della fatica e qualche volta anche delle ferite. Le chiediamo allora: come diaconi permanenti qual è la nostra parte perché possiamo aiutare a delineare quel volto di Chiesa che è umile, che è disinteressata, che è beata, quella che sentiamo che è nel suo cuore e di cui spesso ci parla? La ringrazio dell’attenzione e le assicuro la nostra preghiera e insieme alla nostra quella delle nostre spose  e delle nostre famiglie.

Papa Francesco:

Grazie. Voi diaconi avete molto da dare, molto da dare. Pensiamo al valore del discernimento. All’interno del presbiterio, voi potete essere una voce autorevole per mostrare la tensione che c’è tra il dovere e il volere, le tensioni che si vivono all’interno della vita familiare – voi avete una suocera, per dire un esempio! –. Come pure le benedizioni che si vivono all’interno della vita familiare.

Ma dobbiamo stare attenti a non vedere i diaconi come mezzi preti e mezzi laici. Questo è un pericolo. Alla fine non stanno né di qua né di là. No, questo non si deve fare, è un pericolo. Guardarli così ci fa male e fa male a loro. Questo modo di considerarli toglie forza al carisma proprio del diaconato. Su questo voglio tornare: il carisma proprio del diaconato. E questo carisma è nella vita della Chiesa. E nemmeno va bene l’immagine del diacono come una specie di intermediario tra i fedeli e i pastori. Né a metà strada fra i preti e i laici, né a metà strada fra i pastori e i fedeli. E ci sono due tentazioni. C’è il pericolo del clericalismo: il diacono che è troppo clericale. No, no, questo non va. Io alcune volte vedo qualcuno quando assiste alla liturgia: sembra quasi di voler prendere il posto del prete. Il clericalismo, guardatevi dal clericalismo. E l’altra tentazione, il funzionalismo: è un aiuto che ha il prete per questo o per quello…; è un ragazzo per svolgere certi compiti e non per altre cose… No. Voi avete un carisma chiaro nella Chiesa e dovete costruirlo.

Il diaconato è una vocazione specifica, una vocazione familiare che richiama il servizio. A me piace tanto quando [negli Atti degli Apostoli] i primi cristiani ellenisti sono andati dagli apostoli a lamentarsi perché le loro vedove e i loro orfani non erano ben assistiti, e hanno fatto quella riunione, quel “sinodo” tra gli apostoli e i discepoli, e hanno “inventato” i diaconi per servire. E questo è molto interessante anche per noi vescovi, perché quelli erano tutti vescovi, quelli che hanno “fatto” i diaconi. E che cosa ci dice? Che i diaconi siano i servitori. Poi hanno capito che, in quel caso, era per assistere le vedove e gli orfani; ma servire. E a noi vescovi: la preghiera e l’annuncio della Parola; e questo ci fa vedere qual è il carisma più importante di un vescovo: pregare. Qual è il compito di un vescovo, il primo compito? La preghiera. Secondo compito: annunciare la Parola. Ma si vede bene la differenza. E a voi [diaconi]: il servizio.Questa parola è la chiave per capire il vostro carisma. Il servizio come uno dei doni caratteristici del popolo di Dio. Il diacono è – per così dire – il custode del servizio nella Chiesa. Ogni parola dev’essere ben misurata. Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all’Altare, il servizio ai Poveri. E la vostra missione, la missione del diacono, e il suo contributo consistono in questo: nel ricordare a tutti noi che la fede, nelle sue diverse espressioni – la liturgia comunitaria, la preghiera personale, le diverse forme di carità – e nei suoi vari stati di vita – laicale, clericale, familiare – possiede un’essenziale dimensione di servizio. Il servizio a Dio e ai fratelli. E quanta strada c’è da fare in questo senso! Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa.

In ciò consiste il valore dei carismi nella Chiesa, che sono una ricordo e un dono per aiutare tutto il popolo di Dio a non perdere la prospettiva e le ricchezze dell’agire di Dio. Voi non siete mezzi preti e mezzi laici – questo sarebbe “funzionalizzare” il diaconato –, siete sacramento del servizio a Dio e ai fratelli. E da questa parola “servizio” deriva tutto lo sviluppo del vostro lavoro, della vostra vocazione, del vostro essere nella Chiesa. Una vocazione che come tutte le vocazioni non è solamente individuale, ma vissuta all’interno della famiglia e con la famiglia; all’interno del Popolo di Dio e con il Popolo di Dio.

In sintesi:

– non c’è servizio all’altare, non c’è liturgia che non si apra al servizio dei poveri, e non c’è servizio dei poveri che non conduca alla liturgia;

– non c’è vocazione ecclesiale che non sia familiare.

Questo ci aiuta a rivalutare il diaconato come vocazione ecclesiale.

Infine, oggi sembra che tutto debba “servirci”, come se tutto fosse finalizzato all’individuo: la preghiera “mi serve”, la comunità “mi serve”, la carità “mi serve”. Questo è un dato della nostra cultura. Voi siete il dono che lo Spirito ci fa per vedere che la strada giusta va al contrario: nella preghiera servo, nella comunità servo, con la solidarietà servo Dio e il prossimo. E che Dio vi doni la grazia di crescere in questo carisma di custodire il servizio nella Chiesa. Grazie per quello che fate.

Scopri il nuovo anno all’eremo

Cari amici, l’oblatura camaldolese ha segnato il confine tra un prima e un dopo, tra gli anni della preparazione partecipata e quella dell’impegno più specifico che mette al centro la Parola pregata e contemplata e le attività caritative (piccole opere quotidiane).

Ebbene siamo pronti a comunicare il programma di attività che inizieremo ufficialmente dal 15 settembre 2017 e termineranno il 31 maggio 2018

Ogni settimana gli amici dell’eremo riceveranno una meditazione sul vangelo della domenica disponibile anche su cartaceo (è in preparazione il commento ai Vangeli festivi dell’anno B che segue il commento pubblicato lo scorso anno sui vangeli dell’anno A).

Abbiamo riscontro che molti seguono le proposte dell’eremo in varie parti d’Italia. Ed è cosi che suggeriamo di costituire nei luoghi dove abitate piccoli gruppi dai 3 ai 10 componenti che si riuniscono nelle case o nelle vostre parrocchie e di incontrarvi per condividere pensieri e parole attorno al Vangelo con un metodo semplice:

1) invocazione dello Spirito

2) ascolto del Vangelo

3) lettura della breve meditazione proposta

4) silenzio

5) condivisione

6) preghiera del Padre Nostro

Per gli amici dell’eremo che possono e che lo desiderano ci incontriamo all’eremo una volta al mese per un cammino di approfondimento della Bibbia. Quest’anno al centro del cammino avremo la Genesi con le sue storie  e i  suoi personaggi (vi invitiamo fin da subito a prendere tra le mani il testo e a leggerlo).

Attività caritativa

Per quanto possibile cercheremo di sostenere iniziative e/o famiglie in difficoltà. Lo faremo cercando di rispondere a bisogni concreti e reali man mano che si presenteranno. Queste opere di carità serviranno a dare concretezza e vita alla Parola.

Accoglienza

L’Eremo, come sempre, è aperto ad accogliere persone e o famiglie che desiderano vivere un tempo di silenzio e di preghiera. Naturalmente sarà bene contattarci prima in modo da permetterci di accogliere nel miglior modo possibile.

 

Comunicazione

Le meditazioni e le attività dell’eremo saranno diffuse non solo tramite questo sito ma anche sulla pagina Facebook e su Google+, su Twitter e tramite gruppi whatzapp…

 

Meditazione biblica mensile

Queste meditazioni bibliche mensili sono proposte per sostenere una ricerca di Dio nel silenzio e nella preghiera, anche nella vita quotidiana. Si tratta di prendere un’ora per leggere in silenzio il testo biblico suggerito, accompagnato dal breve commento e dalle domande. Ci si riunisce poi in piccoli gruppi, da 3 a 10 persone, a casa di uno dei partecipanti o in chiesa, per un breve scambio su ciò che ognuno ha scoperto, con eventualmente un momento di preghiera.
Comunità di Taize
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2017

Agosto

Luca 18, 15-17: Una fiducia molto semplice
Gli presentavano anche i bambini piccoli perché li toccasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li chiamò a sé e disse: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, non entrerà in esso”. (Luca 18, 15-17)

In questo testo, Gesù e i suoi discepoli vengono disturbati portando loro dei bambini piccoli. Mentre i discepoli s’innervosiscono e lo manifestano, per Gesù questa situazione che non ha scelto diventa un’opportunità. Accoglie la situazione e i bambini e ne trae un insegnamento: Il regno di Dio appartiene a chi l’accoglie come un bambino.

Che cosa caratterizza i bambini? Innanzitutto, il fatto che essi non possono sovvenire da soli a tutti i loro bisogni. Se nella Bibbia gli orfani – insieme alle vedove e gli stranieri – sono i poveri e deboli per eccellenza, è proprio perché non hanno nessuno a difendere i loro diritti e non sono in grado di farlo da soli.

I bambini piccoli devono, più o meno frequentemente, a seconda della loro età, rivolgersi a una persona che li aiuti a realizzare quello che desiderano o che dia loro ciò di cui mancano. Pongono la propria fiducia nelle sue capacità di risolvere la situazione che è più grande di loro. E i più piccoli esprimono con forti strilli la loro insoddisfazione quando i genitori non vogliono o non possono offrire la soluzione attesa.

Anche nella nostra vita d’adulti, ci sono lacune che non possiamo riempire da soli. Imparare dai bambini, è imparare ad avere fiducia e a ricevere la nostra vita. Non abbiamo bisogno di auto-realizzarci! Invece di guardare la nostra vita come una risorsa da sfruttare al massimo, potremmo accogliere con gratitudine quello che ci è dato di vivere. Questo ci porterà pure a delle nuove relazioni con gli altri e con tutta la creazione.

Sarebbe già qualcosa fidarci di qualcuno più forte di noi e voler ricevere la nostra vita da qualcuno capace di offrirci la pienezza che ci manca. Ma Gesù ci propone ancora un’altra cosa: accogliere ciò che è più debole e aprirci a ciò che è limitato.

Il regno di Dio viene con potenza, ma molto spesso si manifesta sotto le apparenze della debolezza. L’orizzonte più ampio a volte ci è aperto da ciò che sembra più limitato. Gesù ci invita ad accogliere questa debolezza e quei limiti dandone l’esempio. Invece di vedere nei bambini che gli venivano presentati una fonte di disagio o una perdita di tempo, si lascia disturbare e vi scopre un’occasione per approfondire il suo insegnamento, una nuova possibilità di esprimere il suo messaggio.

Egli non solo accoglie i bambini, ma si identifica con loro. In un altro momento della sua vita, egli prende un bambino, lo mette davanti alla gente e dice loro: “Chi accoglie questo bambino, accoglie me” (Lc 9,48). In Gesù, Dio si mostra come colui che è debole e bisognoso. In Gesù, è lui che diventa vittima delle forze di questo mondo. È così che porta il suo regno. È il messaggio della croce: la potenza di Dio si manifesta nella debolezza e la morte di Gesù dà la vita.

Il Vangelo ci invita ad accogliere una pienezza di vita che verrà da uno più forte di noi. Per scoprirla, ci chiama ad aprirci a ciò che è debole e limitato, nella nostra vita e in quella degli altri. Se ascoltiamo questa chiamata in semplicità e fiducia, troveremo lì una fonte di speranza, creatività e gioia.

- Quali sono le caratteristiche dei bambini che mi sembrano più importanti? Com’è possibile “diventare un bambino” pur restando una persona adulta e matura?

- Dove ho visto la potenza di Dio sotto l’apparenza della debolezza umana?

- In che modo posso accogliere nella mia vita le persone bisognose e vulnerabili? Questo che cosa cambierebbe in me

Soffia nel vento

Quante le strade che un uomo deve percorrere prima di essere un uomo, prima di trovare la pace, prima di trovare la libertà, prima di poter guardare il cielo, prima di sentire, vedere e toccare la disperazione della gente, … prima di …

Tante strade vuote, deserte, solitarie,

Tante strade piene, affollate, popolate.

Non c’è una sola strada, una sola possibilità… Grazie a Dio non si è obbligati a percorrere la stessa strada per raggiungere la stessa meta, per arrivare nella stessa città, per toccare il cielo. Questo vale per la vita sociale e per quella dello Spirito. Ognuno ha la sua strada, ognuna diversa, ognuna bella, faticosa, emozionante, piena di ostacoli e di gioie, … Ognuno dovrà essere libero di percorrere quella più vicina alla sua sensibilità. Chi lo impedisce fa un grave errore e non potrà riuscire nel suo intento.

Troppe persone hanno sofferto e c’è chi ha donato la vita perché l’uomo sia libero, libero davvero di percorrere la sua via, con i suoi tempi, con le sue possibilità, con le sue sensibilità, … e qualcuno è chiamato ad assicurare la convivialità delle differenze.

Clicca e ascolta  Blowin’in the wind

Quante strade deve percorrere un uomo
prima che lo si possa chiamare uomo?
e quanti mari deve sorvolare una bianca colomba
prima che possa riposare nella sabbia?
e quante volte i proiettili dovranno fischiare
prima di venir banditi per sempre?
La risposta, amico mio, soffia nel vento
La risposta soffia nel vento

Quanti anni può esistere una montagna
prima di venire lavata dal mare?
e quanti anni devono vivere alcune persone
prima che possano essere finalmente libere?
e quante volte un uomo può voltare la testa
fingendo di non vedere?
La risposta, amico mio, soffia nel vento
La risposta soffia nel vento

Quante volte un uomo deve guardare verso l’alto
prima che riesca a vedere il cielo?
e quante orecchie deve avere un uomo
prima di poter sentire la disperazione della gente?
e quante morti ci vorranno perchè egli sappia
che troppe persone sono morte?
La risposta, amico mio, soffia nel vento
La risposta soffia nel vento

 

Un popolo chiamato Chiesa

Laici, diaconi e donne sono i chiamati dal Concilio Vaticano II a destrutturare il modello organizzativo  tridentino rimasto sostanzialmente immutato. Una lettura precisa e puntuale ci è offerta dalla teologa Serena Noceti in questa relazione dell’aprile scorso. Si tratta di una interessantissima esposizione dedicata alla ministerialita nella Chiesa che vi chiediamo caldamente e vi consigliamo di ascoltare.

Clicca per ascoltare Serena Noceti

A più di 50 anni dal Concilio Vaticano II il modello tridentino è ancora in piedi salvo qualche modifica di facciata. Senza questo cambiamento radicale tutto continuerà come prima.

Ebbene sia il Concilio Vaticano II che papa Francesco (vedi Evangelii  Gaudium ) sono intervenuti in merito e hanno sancito la necessità di una autentica corresponsabilita del popolo di Dio. La  Noceti, vice presidente dell’Associazione Teologica Italiana continua a ribadire che la direzione da seguire è quella di un ritorno alle origini della Chiesa che per essere realizzato ha bisogno di una progettualita che passa attraverso:

1) la creazione di nuove ministerialita’ laicali;

2) un aggiornamento dei percorsi formativi che debbono coinvolgere unitariamente seminaristi,  presbiteri, diaconi, religiosi e laici;

3) la creazione di team di coordinamento dell’attività pastorale delle parrocchie sotto la guida e responsabilità di un laico formato e di cui faccia parte il presbitero, il diacono, una coppia, i religiosi e i laici.

4) una sostanziale autolimitazione dei presbiteri e una vera declericalizzazione della Chiesa, che rappresenta il vero nodo che blocca ogni creatività;

5) 

Sogniamo la parrocchia del domani

Cari amici oggi vi suggeriamo di ascoltare dalla viva voce di Serena Noceti, vice presidente dell’Associazione Teologica Italiana, alcune idee e proposte per la parrocchia del domani. Una parrocchia che abbandona il modello tridentino per vivere questo tempo  frammentato, plurale, di un cristianesimo di minoranza e che ci chiama a partecipare, nella comunità eucaristica, a progettare, insieme, la vita della parrocchia stessa contribuendo, con responsabilità, a costruire relazioni umane d’amore.

Clicca qui e ascolta

Ascolta Serena Noceti 

 

 

Una nuova organizzazione per la Chiesa.

Oggi desideriamo proporvi questa intervista (forse un po’ lunga ma molto precisa e puntuale) rilasciata da una delle teologhe più attente e accorte di questo nostro tempo: Serena Noceti (vice presidente dell’Associazione Teologica Italiana). Chi ama la Chiesa e se ne sente attratto siamo certi che l’apprezzerà tantissimo. Merita davvero un briciolo del nostro tempo e della nostra attenzione.

La pur ampia sala del Centro Studi “Bruno Longo” non è stata sufficiente per accogliere gli oltre 150 intervenuti alla serata Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito (1Cor 12,4). Ministerialità laicali nella parrocchia che cambia organizzata dalla rete chiccodisenape lunedì 17 novembre 2014 alle 21.

Questo incontro è stato il primo di una serie iniziative per accompagnare la riflessione della comunità diocesana sul cosiddetto “riassetto diocesano”, che permetta di mettere in luce gli snodi da affrontare e le soluzioni possibili attraverso un confronto ampio, sereno e libero fra tutte le componenti del popolo di Dio. E ne è stato presente proprio un bell’affresco: dall’anziano parroco di provincia ad alcuni docenti e studenti delle facoltà teologiche, dalle catechiste ai componenti di diverse aggregazioni laicali (Azione Cattolica, Gioc, Meic, Rinnovamento nello Spirito…), dai laici impegnati ad alcuni che non mettono piede in chiesa con facilità. Protagonista dell’incontro è stata la teologa Serena Noceti, vicepresidente dell’Associazione Teologica Italiana e docente di teologia sistematica. La Noceti non è nuova alle iniziative di chiccodisenape: era stata, infatti, relatrice nel primo convegno sul tema Laici responsabili per il Vangelo e per il mondo (2008) insieme a Giuseppe Ruggieri e Marco Vergottini. Qui di seguito le questioni affrontate durante la serata, elaborate dal coordinamento di chiccodisenape sotto forma di intervista.

Torino e molte altre diocesi si stanno interrogare su come articolare la vita della comunità diocesana nel contesto della secolarizzazione, nel quale le modalità di organizzazione a cui eravamo abituati non sembrano più adeguate e il numero di ministri ordinati è in diminuzione. Secondo la tua opinione la parrocchia è davvero in crisi o ha ancora un futuro?

La parrocchia è una delle forme di vita ecclesiale in cui si concentrano molte delle novità del Concilio Vaticano II, che ha avuto un sostanziale cambiamento di linea interpretativa non sempre accompagnato da un mutamento significativo delle prassi. La parrocchia sembra così vivere una crisi perché è andato in crisi il modello tridentino di parrocchia, che non è più significativo sul piano culturale ed è totalmente inadeguato dal punto di vista dell’ecclesiologia del Vaticano II.

Per comprendere appieno la transizione si devono tenere presenti alcune caratteristiche del modello tridentino di parrocchia: un’ecclesiologia universalistica, una concezione di chiesa come societas organizzata sulla base del principio di autorità delegata, che la porta a essere fortemente clericale; la sacramentalizzazione, la socializzazione religiosa dei bambini, la centralità del praticante inteso come individuo singolo, le dinamiche di comunicazione unidirezionali. Opera in un sistema sociale ed ecclesiale stabile, contrassegnato da cambiamenti lenti e da una appartenenza definita dai confini e dai numeri limitati dove vi è una coincidenza del luogo di abitazione, di lavoro di vita sociale e una netta divisione in classi sociali. In sintesi, si tratta di un modello di parrocchia pensata per ordinare e dare senso all’esistente, configurando una figura istituzionale unica e univoca, che deve essere uguale ovunque.

È questo modello è essere messo in crisi, in prima battuta dal cambiamento della situazione socioculturale: i fenomeni di urbanizzazione, di secolarizzazione, di senso democratico nelle appartenenze sociali; il profondo cambiamento nella esperienza del tempo e dello spazio; il superamento della logica del sacro e profano; la fine dell’idea di sistema onnicomprensivo. Il secondo elemento di crisi è dato dalla teologia del Vaticano II, che crea una cesura rispetto al modello tridentino. I documenti del Concilio indicano la possibilità di una pluralità di modelli, di forma e di figure di vita parrocchiale (cfr. Sacrosanctum Concilium 42, Lumen Gentium 28, Apostolicam Actuositatem 10, Ad Gentes 37, Christus Dominus 40) e cambiano l’orizzonte di fondo: il principio è il riconoscimento del vangelo annunciato e quindi la proposta di fede è rivolta in particolare agli adulti, cristiani capaci di vivere il vangelo e di essere soggetti attivi nella comunità; la soggettualità è di tutto il popolo di Dio; la visione del ministero e del laicato sono cambiate; il superamento dell’ecclesiologia universalistica e la valorizzazione della chiesa locale; la presenza di dinamiche comunicative pluridimensionali (LG 12 e DV 8). Crisi di un modello di parrocchia, dunque, e non della parrocchia stessa che, anzi, è da sempre caratterizzata dalla capacità di non essere un oggetto staticamente definito e di modificarsi nel corso dei secoli intorno a due essenziali elementi di continuità: l’annuncio del Vangelo a un gruppo umano presente in un territorio e l’esistenza di una comunità eucaristica e come comunità eucaristica. Le forme parrocchiali nate dal Vaticano II dovranno così comprendere come ripensarsi in una chiave che rimandi a un soggetto umano collettivo (il “noi”) che si relaziona a un territorio; come coniugare la necessità della localizzazione, elemento chiave nella autocoscienza e nell’esperienza ecclesiale, con un criterio di riconoscimento non legato al solo domicilio; come valorizzare la comunità intesa con un gruppo sociale non ampio, definito da relazioni dirette e dinamiche comunicative e partecipative possibili, in cui fare esperienza e manifestare la comunione fondata sulla Parola e nell’eucaristia. Parrocchie, insomma, che siano in grado di trovare un equilibrio tra i due nuclei del vivere ecclesiale: il momento istituzionale e la libera scelta di chi la compone, l’esperienza cristiana personale e l’essere un corpo collettivo.

Sembra che il problema che anima l’interesse nei confronti dell’organizzazione delle diocesi sia la mancanza di preti, spesso considerati il punto di riferimento essenziale e ineludibile delle comunità. Quali sono le criticità di questo approccio?

Per iniziare, una riorganizzazione che guardi al solo dato territoriale rischia di non cogliere il valore delle appartenenze e le logiche di riconoscimento delle comunità. Non dovremmo solo guardare alle comunità dal punto di vista dei servizi da offrire e alla necessaria razionalizzazione delle forze – prospettiva che si concentra sul clero – quanto investire in creatività su nuovi modelli, plurali nelle forme e nell’organizzazione, mettendo al centro il popolo di Dio affiancato da presbiteri e diaconi. Questo approccio comporta tre problemi: le evidenti resistenze di vescovi e preti che dovrebbero ridefinire i loro poteri in vista del passaggio dal modello tridentino alla Chiesa del Vaticano II; la necessità di pensare una riforma per applicare il dettato conciliare (cfr. capitolo II di LG); l’aggiornamento della formazione del clero, che è ancora pensata intorno a una figura di prete unica e statica: a tempo pieno, celibe, dedicato al sacro, e la valorizzazione della figura del diacono, essenziale per identificare il ministero in relazione alla vita e non al sacramento (cfr. LG 29). I ministri ordinati devono presiedere l’eucaristia, perché presiedono la comunità, perché le garantiscono l’apostolicità della fede e dell’identità, ma la loro parola deve promuovere e accogliere la parola dei laici che coniuga vangelo e cultura, vangelo e linguaggi di oggi.

Quali sono gli elementi che possono rendere le nostre comunità dei luoghi dell’esistenza significativi, attraenti e accoglienti?

Propongo un motto e tre strumenti. Il motto è che al centro non ci sia la dottrina ma il vangelo compreso e annunciato insieme. Gli strumenti sono: la capacità di essere “multilocati”, al di là dei luoghi codificati per il sacro; l’attenzione agli adulti, sia nel linguaggio sia nelle proposte; la valorizzazione dei passaggi cruciali della vita (come le crisi di mezza età, che solitamente portano a interrogarsi sul senso di Dio e della vita, o la nascita di un figlio, condizione irreversibile della vita della persona); il coraggio di essere una comunità profetica, in grado di dire qualcosa sui temi scottanti dell’attualità, come ad esempio oggi sulla condizione del lavoratore e sul lavorare.

Questi cambiamenti porteranno a un nuovo coinvolgimento dei laici?

È tempo che la Chiesa possa avere la parola di estroversione che è propria dei laici: essi hanno la possibilità di dire una parola autorevole ma devono formarsi e imparare il linguaggio della teologia per poter comprendere ed essere compresi. Il Concilio Vaticano II ha favorito un maggior coinvolgimento dei laici, se non possiamo dimenticare che ha proposto i primi documenti dedicati ai laici nella storia della Chiesa, Apostolicam Actuositatem e il capitolo IV di Lumen Gentium, non possiamo sottovalutare la compresenza e la giustapposizione di due diverse teologie del laicato nel concilio, una che vede il laico dipendente dal clero, l’altra che ne esalta l’autonomia e la soggettualità intraecclesiale. Si tratta di una tensione non risolta, che non rende facile arrivare a una (auto)coscienza di laici. Questo quadro è stato ulteriormente complicato dalla diffusione nel post-Concilio di alcuni movimenti laicali che, se pure sono stati in grado di rispondere al desiderio di relazione e di comunità reale che le persone desiderano in questo mondo autonomo, hanno ricalcato l’ecclesiologia tridentina sotto molti aspetti (il riferimento alla chiesa universale e non alla chiesa locale, le dinamiche comunicative unidirezionali…). Mi sembra così necessario puntare sulla formazione dei laici, organizzare strutture sinodali nelle quali ripensare la diocesi complessivamente, valorizzare le aggregazioni laicali che favoriscono le dinamiche comunicative multidirezionali.

Quale sarà l’apporto delle donne?

Sono state il vero soggetto della recezione del Concilio anche in modo imprevisto. Il periodo successivo ha visto, infatti, fattori di sviluppo socio-culturale, tra cui la trasformazione dei modelli relazionali uomo-donna, l’accesso all’istruzione superiore, alle professioni, alla politica, ed ecclesiale, come i percorsi di autocoscienza a partire dalla Bibbia, l’apertura allo studio e all’insegnamento della teologia, la ministerialità diffusa. Non possiamo però non considerare che ci sono ancora forti resistenze culturali e strutturali da affrontare, come ha segnalato anche papa Francesco in Evangelii Gaudium(103-104), usando l’espressione “giuste rivendicazioni” e aprendo, così, una nuova prospettiva di lavoro. Per fare qualche esempio, possiamo ricordare che la presenza delle donne è spesso data per scontata e riguarda soprattutto ruoli operativi e non decisionali. Che vi
sono in Italia solo 380 laureate in teologia, delle quali 85 insegnano anche se solo 19 a tempo pieno (cfr. la ricerca Le pietre scartate di Carmelina Chiara Canta). Che sono ancora negati alle donne i ministeri laicali per ragioni di opportunità pastorale…

Quali sono le nuove ministerialità di cui abbiamo bisogno in questo contesto?

Ne proporrei tre in particolare. Il coordinatore di comunità, un ministero istituito da inventare, che cura le relazioni e le forme di partecipazione sinodale della comunità. La creazione di team pastorali per condurre le parrocchie (o gruppi di parrocchie) composte da prete, diacono, religiosi, coppie sposate, che abbiano una retribuzione che permetta loro di essere a servizio a tempo pieno. Biblisti e teologi di “zona”, saranno coloro che aiuteranno piccoli gruppi a formare e dire la fede su tematiche specifiche. A me piace immaginare che degli amici si possano organizzare e chiamare un teologo che per 4-5 incontri faccia degli incontri su tematiche specifiche magari nelle case… la potremmo chiamare “teologia di casa”.

Conosci qualche esperienza significativa che possa essere di ispirazione per la situazione attuale?

Inizio dalla mia diocesi di Firenze: durante l’episcopato del cardinale Piovanelli sono stati assunti cinque laici in curia, proprio per valorizzarne l’importanza e la preparazione, e oggi ci sono 22 piccole parrocchie affidate a coppie di sposi (alcune di queste hanno il marito diacono, ma non solo…). Vi sono poi la cooperativa di animatori di oratorio della diocesi di Milano (parrocchia Aquila e Priscilla) e le cooperatrici pastorali di Treviso, donne che vivono nelle parrocchie, in comunità di tre o quattro consacrate, e che lavorano a tempo pieno per la pastorale. In alcuni paesi, vi sono dei laici che sono pagati dalle comunità per compiere dei servizi pastorali, come i pastoralreferenten/innen in Germania. In Sierra Leone le comunità sostengono con una cifra pari a quella che avrebbero guadagnato continuando a lavorare coloro che decidono di studiare nel seminario per animatori laici di comunità, che poi si mettono al servizio a tempo pieno.

Aquila e Priscilla