Uno degli aspetti importanti della vita monastica è legato allo stile della preghiera. La preghiera, infatti, viene praticata secondo una tempistica molto ben dettagliata dalla Regola. Qui di seguito vengono offerte indicazione per la preghiera dell’ ufficio divino di notte da novembre a Pasqua.
Diacono, icona di Cristo servo
Domani, 28 aprile 2017, insieme ad altri 7 confratelli, facciamo memoria dei nostri 10 anni di ordinazione diaconale. Ringrazio l’Arcivescovo Luigi Vari che ha voluto programmare una celebrazione eucaristica con tutti i diaconi e con chi altro desidera partecipare presso la Chiesa dei Santi Lorenzo e Giovanni a Formia alle ore 19,00 e, in questa vigilia, condivido con tutti voi questo scritto presente sul sito della diocesi di Ravenna sul diaconato e i diaconi. I diaconi, ricordo a me stesso, sono ministri sacri e membri del clero, ma soprattutto sono “icona del Cristo servo”. Proprio quest’ultima definizione è quella che più di tutte siamo chiamati a meditare e vivere. Se volete pregate per noi.
TRATTO DAL SITO DELLA DIOCESI DI RAVENNA
“…con il sacramento dell’ordine, quegli uomini [i diaconi] fanno parte integrante del clero, anche se sono sposati, hanno famiglia, svolgono un lavoro (non ricevono alcun compenso dalla Chiesa per il loro servizio) e sono impegnati nel mondo, ma, come tutti i cristiani, sono nel mondo, ma non sono del mondo. Il Vescovo Mons. Monari così scrive: “Non c’è dubbio che il diacono è presente e opera nella Chiesa come ‘icona vivente del Cristo servo'” e basterebbe questa affermazione per aprire spazi immensi di riflessione, di meditazione, di servizio, di formazione spirituale. L’appartenenza dei diaconi al sacramento dell’ordine “è una dottrina sicura”. Infatti, il Codice di diritto Canonico al Titolo VI Can.1008 e 1009, modificati…dal Papa Benedetto XVI con Motu Proprio, recita: ‘Con il sacramento dell’ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli, mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a servire, ciascuno nel suo grado, con nuovo e peculiare titolo, il popolo di Dio’. Gli ordini sono l’episcopato, il presbiterato e il diaconato. ‘Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità’.
…il Concilio Vaticano II…ha restaurato dopo molti anni il diaconato come grado a se stante del sacramento dell’ordine com’era nella Chiesa fin dai suoi primi anni.
Lumen gentium, Cap. III, Costituzione gerarchica della Chiesa n. 29: ‘In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani ‘non per il sacerdozio, ma per il servizio’. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella ‘diaconia’ della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio. È ufficio del diacono, secondo le disposizioni della competente autorità, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l’Eucaristia, assistere e benedire il matrimonio in nome della Chiesa, portare il viatico ai moribondi, leggere la Sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, presiedere al rito funebre e alla sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito di S. Policarpo: ‘Essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti”.
(sul sito dell’ Arcidiocesi di Ravenna – Cervia).
Ringrazio il confratello diacono Mario Elpini che me lo ha inviato.
Dio conosce i pensieri degli uomini
Salire i 12 gradini dell’umilta è un’impresa che richiede impegno e volontà, senso del peccato e rifiuto della malizia.
Ma leggiamo cosa scrive San Benedetto nella sua Regola.
Con il cuore umile
L’umiltà, ieri come oggi, è una pratica difficile da vivere e San Benedetto consapevole delle notevoli difficoltà a viverla anche da parte del monaco indica 12 gradini da percorrere. In questo settimo capitolo della Regola San Benedetto cita ampiamente la Scrittura e lo fa con l’intenzione di dare più forza al cammino che propone di compiere per essere umili.
- La sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando a gran voce: “Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
- Così dicendo, ci fa intendere che ogni esaltazione è una forma di superbia,
- dalla quale il profeta mostra di volersi guardare quando dice: “Signore, non si è esaltato il mio cuore, né si è innalzato il mio sguardo, non sono andato dietro a cose troppo grandi o troppo alte per me”.
- E allora? “Se non ho nutrito sentimenti di umiltà, se il mio cuore si è insuperbito, tu mi tratterai come un bimbo svezzato dalla propria madre”.
- Quindi, fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell’umiltà e arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l’umiliazione della vita presente,
- bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli.
- Non c’è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con l’umiltà si sale.
- La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se il cuore è umile, Dio solleva fino al cielo;
- noi riteniamo infatti che i due lati della scala siano il corpo e l’anima nostra, nei quali la divina chiamata ha inserito i diversi gradi di umiltà o di esercizio ascetico per cui bisogna salire.
L’amore del silenzio
Questo è il tempo del Silenzio. Fare silenzio è sempre più un’esigenza di questo tempo. Una necessità che viene avvertita come indispensabile da un certo numero di persone sempre più stanche del chiasso e del rumore che invade ogni momento della giornata. Crediamo, infatti, che, nascosto dal rumore nel quale siamo immersi, il nostro Spirito stia cercando con avidità una dimensione di vita piena di silenzio, piena di possibilità e capacita di ascoltare la voce del silenzio. Insomma dopo il rumore della modernità crediamo che si stia preparando un tempo di grande silenzio, di grande mistero, di grande comunicazione non verbale. Una comunicazione fatta di sguardi, di gesti, di parole solo appena sussurrate. Una comunicazione più vera e più autentica capace di toccare le corde dell’emozione e di guidare la vita su sentieri tanto intensi quanto coinvolgenti. Vediamo cosa suggerisce San Benedetto nella sua Regola e se questa può aiutarci a recuperare la nostra umanità più profonda.
- Facciamo come dice il profeta: “Ho detto: Custodirò le mie vie per non peccare con la lingua; ho posto un freno sulla mia bocca, non ho parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone”.
- Se con queste parole egli dimostra che per amore del silenzio bisogna rinunciare anche ai discorsi buoni, quanto più è necessario troncare quelli sconvenienti in vista della pena riserbata al peccato!
- Dunque l’importanza del silenzio è tale che persino ai discepoli perfetti bisogna concedere raramente il permesso di parlare, sia pure di argomenti buoni, santi ed edificanti, perché sta scritto:
- “Nelle molte parole non eviterai il peccato”
- e altrove: “Morte e vita sono in potere della lingua”.
- Se infatti parlare e insegnare é compito del maestro, il dovere del discepolo è di tacere e ascoltare.
- Quindi, se bisogna chiedere qualcosa al superiore, lo si faccia con grande umiltà e rispettosa sottomissione.
- Escludiamo poi sempre e dovunque la trivialità, le frivolezze e le buffonerie e non permettiamo assolutamente che il monaco apra la bocca per discorsi di questo genere.
Obbedire in umilta’ e gustare la vita
Obbedire è il segno di una buona vocazione provata nel crogiuolo della vita. Un “essere” che pur non cancellando i pensieri li piega al volere di Dio. Questo stile di vita è, per davvero, il frutto di un cammino di purificazione che ci fa toccare il cielo è ci dona quella pace che è aspirazione di tanti. Vivere nell’obbedienza, quindi, ci fa percepire i piccoli odori di campo permettendo al cuore di notare le più minuscole sfumature della vita.
Ed ecco cosa scrive San Benedetto riguardo all’obbedienza.
- Il segno più evidente dell’umiltà è la prontezza nell’obbedienza.
- Questa è caratteristica dei monaci che non hanno niente più caro di Cristo
- e, a motivo del servizio santo a cui si sono consacrati o anche per il timore dell’inferno e in vista della gloria eterna,
- appena ricevono un ordine dal superiore non si concedono dilazioni nella sua esecuzione, come se esso venisse direttamente da Dio.
- E’ di loro che il Signore dice: ” Appena hai udito, mi hai obbedito”
- mentre rivolgendosi ai superiori dichiara: “Chi ascolta voi, ascolta me”.
- Quindi, questi monaci, che si distaccano subito dalle loro preferenze e rinunciano alla propria volontà,
- si liberano all’istante dalle loro occupazioni, lasciandole a mezzo, e si precipitano a obbedire, in modo che alla parola del superiore seguano immediatamente i fatti.
- Quasi allo stesso istante, il comando del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo si compiono di comune accordo con quella velocità che è frutto del timor di Dio:
- così in coloro che sono sospinti dal desiderio di raggiungere la vita eterna.
- Essi si slanciano dunque per la via stretta della quale il Signore dice: “Angusta è la via che conduce alla vita”;
- perciò non vivono secondo il proprio capriccio né seguono le loro passioni e i loro gusti, ma procedono secondo il giudizio e il comando altrui; rimangono nel monastero e desiderano essere sottoposti a un abate.
- Senza dubbio costoro prendono a esempio quella sentenza del Signore che dice: “Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato”.
- Ma questa obbedienza sarà accetta a Dio e gradevole agli uomini, se il comando ricevuto verrà eseguito senza esitazione, lentezza o tiepidezza e tantomeno con mormorazioni o proteste,
- perché l’obbedienza che si presta agli uomini è resa a Dio, come ha detto lui stesso: “Chi ascolta voi, ascolta me”.
- I monaci dunque devono obbedire con slancio e generosità, perché “Dio ama chi dà lietamente”.
- Se infatti un fratello obbedisce malvolentieri e mormora, non dico con la bocca, ma anche solo con il cuore,
- pur eseguendo il comando, non compie un atto gradito a Dio, il quale scorge 1a mormorazione nell’intimo della sua coscienza;
- quindi, con questo comportamento, egli non si acquista alcun merito, anzi, se non ripara e si corregge, incorre nel castigo comminato ai mormoratori.
La Misericordia non ha confini e non ha limiti
Domenica della Divina Misericordia
La rivelazione definitiva del Nome di Dio a Mosè culmina con l’affermazione “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e compassionevole, lento all’ira e grande nell’amore e nella fedeltà” (Es 34,5-6)
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San Benedetto ci indica le vie del bene
Il capitolo IV della Regola di San Benedetto è dedicata agli “strumenti delle opere buone”. Ogni punto meriterebbe una meditazione profonda e un confronto con la propria vita quotidiana. Chi avrà il tempo di leggerli e meditarli potrà davvero permettersi un cambio di vita profondo. In questo capitolo c’è una sintesi di vita cristiana capace di aiutare la nostra vita offrendoci la possibilità di assaporare quella pace e quella gioia che ognuno desidera veramente. E adesso scopriamo cosa ci indica San Benedetto …
- Prima di tutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze;
- poi il prossimo come se stesso.
- Quindi non uccidere,
- non commettere adulterio,
- non rubare,
- non avere desideri illeciti,
- non mentire;
- onorare tutti gli uomini,
- e non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi.
- Rinnegare completamente se stesso. per seguire Cristo;
- mortificare il proprio corpo,
- non cercare le comodità,
- amare il digiuno.
- Soccorrere i poveri,
- vestire gli ignudi,
- visitare gli infermi,
- seppellire i morti ;
- alleviare tutte le sofferenze,
- consolare quelli che sono nell’afflizione.
- Rendersi estraneo alla mentalità del mondo;
- non anteporre nulla all’amore di Cristo.
- Non dare sfogo all’ira,
- non serbare rancore,
- non covare inganni nel cuore,
- non dare un falso saluto di pace,
- non abbandonare la carità.
- Non giurare per evitare spergiuri,
- dire la verità con il cuore e con la bocca,
- non rendere male per male,
- non fare torti a nessuno, ma sopportare pazientemente quelli che vengono fatti a noi;
- amare i nemici,
- non ricambiare le ingiurie e le calunnie, ma piuttosto rispondere con la benevolenza verso i nostri offensori,
- sopportare persecuzioni per la giustizia.
- Non essere superbo,
- non dedito al vino,
- né vorace,
- non dormiglione,
- né pigro;
- non mormoratore,
- né maldicente.
- Riporre in Dio la propria speranza,
- attribuire a Lui e non a sé quanto di buono scopriamo in noi,
- ma essere consapevoli che il male viene da noi e accettarne la responsabilità.
- Temere il giorno del giudizio,
- tremare al pensiero dell’inferno,
- anelare con tutta l’anima alla vita eterna,
- prospettarsi sempre la possibilità della morte.
- Vigilare continuamente sulle proprie azioni,
- essere convinti che Dio ci guarda dovunque.
- Spezzare subito in Cristo tutti i cattivi pensieri che ci sorgono in cuore e manifestarli al padre spirituale.
- Guardarsi dai discorsi cattivi o sconvenienti,
- non amare di parlar molto,
- non dire parole leggere o ridicole,
- non ridere spesso e smodatamente.
- Ascoltare volentieri la lettura della parola di Dio,
- dedicarsi con frequenza alla preghiera;
- in questa confessare ogni giorno a Dio con profondo dolore le colpe passate
- e cercare di emendarsene per l’avvenire.
- Non appagare i desideri della natura corrotta,
- odiare la volontà propria,
- obbedire in tutto agli ordini dell’abate, anche se – Dio non voglia! – questi agisse diversamente da come parla, ricordando quel precetto del Signore:” Fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno”.
- Non voler esser detto santo prima di esserlo, ma diventare veramente tale, in modo che poi si possa dirlo con più fondamento.
- Adempiere quotidianamente i comandamenti di Dio.
- Amare la castità,
- non odiare nessuno,
- non essere geloso,
- non coltivare l’invidia,
- non amare le contese,
- fuggire l’alterigia
- e rispettare gli anziani,
- amare i giovani,
- pregare per i nemici nell’amore di Cristo,
- nell’eventualità di un contrasto con un fratello, stabilire la pace prima del tramonto del sole.
- E non disperare mai della misericordia di Dio.
- Ecco, questi sono gli strumenti dell’arte spirituale!
- Se li adopereremo incessantemente di giorno e di notte e li riconsegneremo nel giorno del giudizio, otterremo dal Signore la ricompensa promessa da lui stesso:
- “Né occhio ha mai visto, né orecchio ha udito, né mente d’uomo ha potuto concepire ciò che Dio ha preparato a coloro che lo amano”.
- L’officina poi in cui bisogna usare con la massima diligenza questi strumenti è formata dai chiostri del monastero e dalla stabilità nella propria famiglia monastica.
L’Abate consulta tutti e poi decide in autonimia
Prendere una decisione, fare una scelta, stabilire una cosa da fare, come e quando farla dipende tutto da chi ha la responsabilita di guidare la comunità e cioè dall’ Abate che non è un ” capo ” dispotico ma un Padre che fa discernimento dopo aver ascoltato tutti, anche i più giovani ai quali, spesso, lo Spirito rivela la soluzione migliore.
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L’Abate insegni con l’esempio
Un Abate è chiamato ad essere un uomo vero, un uomo capace di autorevolezza e di grande attenzione per i suoi monaci. È molto interessante leggere e meditare questo primo capitolo della Regola dedicato alla figura dell’ Abate al quale si richiede una grande cura e un grande amore verso i suoi fratelli.
- , quando uno assume il titolo di Abate deve imporsi ai propri discepoli con un duplice insegnamento,
- mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo: in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani.
- Confermi con la sua condotta che bisogna effettivamente evitare quanto ha presentato ai discepoli come riprovevole, per non correre il rischio di essere condannato dopo aver predicato agli altri
- e di non sentirsi dire dal Signore per i suoi peccati: “Come ti arroghi di esporre i miei precetti e di avere sempre la mia alleanza sulla bocca, tu che hai in odio la disciplina e ti getti le mie parole dietro le spalle?”
- e ancora: “Tu che vedevi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, non ti sei accorto della trave nel tuo”.
- Si guardi dal fare preferenze nelle comunità:
- non ami l’uno piò dell’altro, a eccezione di quello che avrà trovato migliore nella condotta e nell’obbedienza:
- non anteponga un monaco proveniente da un ceto elevato a uno di umili origini, a meno che non ci sia un motivo ragionevole per stabilire una tale precedenza.
- Ma se, per ragioni di giustizia, riterrà di dover agire così lo faccia per chiunque; altrimenti ciascuno conservi il proprio posto,
- perché, sia il servo che il libero, tutti siamo una cosa sola in Cristo e, militando sotto uno stesso Signore, prestiamo un eguale servizio. Infatti, “dinanzi a Dio non ci sono parzialità”
- e una cosa sola ci distingue presso di lui: se siamo umili e migliori degli altri nelle opere buone.
- Quindi l’abate ami tutti allo stesso modo, seguendo per ciascuno una medesima regola di condotta basata sui rispettivi meriti.
- Per quanto riguarda poi la direzione dei monaci, bisogna che tenga presente la norma dell’apostolo: “Correggi, esorta, rimprovera”
- e precisamente, alternando i rimproveri agli incoraggiamenti, a seconda dei tempi e delle circostanze, sappia dimostrare la severità del maestro insieme con la tenerezza del padre.
- In altre parole, mentre deve correggere energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti, deve esortare amorevolmente quelli che obbediscono con docilità a progredire sempre più. Ma è assolutamente necessario che rimproveri severamente e punisca i negligenti e coloro che disprezzano la disciplina.
- Non deve chiudere gli occhi sulle eventuali mancanze, ma deve stroncarle sul nascere, ricordandosi della triste fine di Eli, sacerdote di Silo.
- Riprenda, ammonendoli una prima e una seconda volta, i monaci più docili e assennati,
- ma castighi duramente i riottosi, gli ostinati, i superbi e i disobbedienti, appena tentano di trasgredire, ben sapendo che sta scritto: “Lo stolto non si corregge con le parole”
- e anche: “Battendo tuo figlio con la verga, salverai l’anima sua dalla morte”.
- L’abate deve sempre ricordarsi quel che è e come viene chiamato, nella consapevolezza che sono maggiori le esigenze poste a colui al quale è stato affidato di più.
- Bisogna che prenda chiaramente coscienza di quanto sia difficile e delicato il compito che si è assunto di dirigere le anime e porsi al servizio dei vari temperamenti, incoraggiando uno, rimproverando un altro e correggendo un terzo:
- perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo la rispettiva indole e intelligenza, in modo che, invece di aver a lamentare perdite nel gregge affidato alle sue cure, possa rallegrarsi per l’incremento del numero dei buoni.
- Soprattutto si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche,
- ma pensi sempre che si è assunto l’impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà rendere conto
- e non cerchi una scusante nelle eventuali difficoltà economiche, ricordandosi che sta scritto :”Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in soprappiù”
- e anche: “Nulla manca a coloro che lo temono”.
- Sappia inoltre che chi si assume l’impegno di dirigere le anime deve prepararsi a renderne conto
- e stia certo che, quanti sono i monaci di cui deve prendersi cura, tante solo le anime di cui nel giorno del giudizio sarà ritenuto responsabile di fronte a Dio, naturalmente oltre che della propria.
- Così nel continuo timore dell’esame a cui verrà sottoposto il pastore riguardo alle pecore che gli sono state affidate mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si fa più attento al proprio
- e corregge i suoi personali difetti, aiutando gli altri a migliorarsi con le sue ammonizioni.