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Sul Monte Taleo

Mentre lo sguardo si perde in lontananza la mente scende nel tempo e le parole del vento riportano alla memoria storie ed atmosfere antiche. Focalizzo i 13 monasteri che la tradizione accredita fondati da San Benedetto sul Monte Taleo e mi accorgo di avere, appena adesso, varcato l’ingresso di uno di questi.

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La Chiesa e’ il popolo di Dio riunito attorno alla mensa

Che cosa vuol dire essere “Popolo di Dio”?

Cominciamo con il dire che  la Chiesa siamo tutti noi insieme riuniti nel nome di Gesù Cristo. Un popolo di battezzati che fa dell’amore la sua unica legge e che amando porta speranza e salvezza per costruire qui è adesso il Regno di Dio. Questo e non altro ci ha detto il Concilio Vaticano II. Se qualcuno vi dirà o farà capire che nella Chiesa c’è chi comanda e chi ubbidisce dice cose non vere. Nella Chiesa c’è la partecipazione di tutti alla costruzione del Regno secondo la legge dell’amore e chi ama e ama davvero non comanda ma ama appunto. Ogni mancanza d’amore è  un tradimento del Signore e della sua unica e vera Legge (“Vi do un comandamento nuovo che vi amiate gli uni gli altri come vi ho amato io … – cioè fino alla morte e alla morte di croce-). Chi esercita il suo servizio in modo autoritario tradisce il Vangelo, tradisce Cristo; chi impedisce all’altro di svolgere il suo servizio è un traditore di Cristo e della legge dell’amore; chi crede di essere migliore dell’altro abusa del suo stato e offende il Signore. Si potrebbe continuare ma lasciamo la parola a papa Francesco e rileggiamo cosa dice Lui a questo proposito.

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Il priore del monastero

L’organizzazione del cenobio prevista da San Benedetto e` quella di tipo pacomiano con i decani: in seguito San Benedetto si sara` dovuto adattare alla tradizione forse piu` corrente nell’ambiente italiano; ma e` chiaro che lo fa di malavoglia, costretto dalle circostanze e scrive questa pagina che irrompe nella Regola violenta e inaspettata, subito dopo il c.64 sull’elezione dell’abate, cosi` carico di umanita` e di delicatezza. La comunita` e` gia` stata organizzata in decanie; il nome stesso di preposito appare solo di sfuggita in 21,7 – che e` chiaramente un’aggiunta – e in 62,7 (anche qui pare un’aggiunta). Invece ora dedica al preposito un capitolo intero abbastanza lungo.

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L’elezione dell’abate

Nel corso dei secoli, come si sa, non sono mancati gravi abusi nell’elezione dell’abate, come all’infelice tempo della commenda o della intromissione di principi o di altri laici. Le reazioni a questi abusi portarono a una dottrina canonica in cui sono precisati dal diritto generale e particolare (dalle Costituzioni delle singole congregazioni) le norme per l’elezione, la procedura, la durata in carica, ecc.

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L’ordine nel monastero

San Benedetto da tre criteri: quello normale e` l’anzianita` monastica, cioe` la data d’ingresso in monastero; un’eccezione puo` essere data da particolari meriti di un monaco; oppure la volonta` dell’abate, il quale e` autorizzato a promuovere e a degradare, ma solo per ragioni superiori e per motivi validi; San Benefetto gli ricorda di fuggire il dispotismo e di  Comunque, l’eta` fisica e l’estrazione sociale dell’individuo non conteranno nulla ( Pertanto anche i fanciulli oblati staranno al posto che corrisponde alla data della loro consacrazione a Dio, anche se sotto la tutela di monaci adulti

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I sacerdoti del monastero

Gli anacoreti copti si mostravano restii all’ordinazione; i pacomiani la rifiutavano in assoluto; in Sitia i migliori monaci si opponevano a che i vescovi imponessero loro le mani. Sacerdozio e monachesimo sono realta` distinte: uno e` per il servizio ministeriale del popolo di Dio attraverso la Parola e i Sacramenti, l’altro e` per lo sforzo di realizzare nella solitudine la perfezione dell’unione con Cristo. Desiderare il sacerdozio per i monaci antichi era segno di superbia; i monaci avevano paura del sacerdozio; sacerdozio e orgoglio vanagloria sono termini spesso associati nei loro scritti (per esempio Cassiano, Inst.11,14-18; Coll.4,20; 5,12). Avevano paura che a motivo del sacerdozio dovessero lasciare la loro vita isolata per il ministero: “il monaco deve fuggire allo stesso modo i vescovi e le donne”, secondo il celebre detto di Cassiano (Inst.11,18).

L’ordinazione di alcuni monaci per il servizio della comunita` poteva dare origine a dispute, invidie, divisioni, problemi di autorita` e di precedenza. Era un rischio. In questo contesto si comprende il c.62 di SB. Oggi, evidentemente, la situazione e la mentalita` sono mutate, la teologia ha aperto una nuova visione. Oggi sarebbe a dir poco ridicolo accettare con la odierna mentalita` l’espressione di Cassiano cosi` come suona…; ma non e` che Cassiano avesse torto: se anche noi oggi avessimo, del “vescovo e della donna”, l’immagine pratica ed esterna che queste categorie immediatamente evocavano, non c’e` dubbio che dovremmo avere la stessa reazione. La realta` spirituale (la teologia) e` la stessa, l’immagine e la situazione esterna e contingente sono mutate. Ma anche oggi, del resto, non mancano aspetti di conflitto esteriore tra “vescovi e gerarchia” e religiosi; non per nulla e` stato necessario il documento pontificio “Mutuae Relationes”.

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La cura degli ammalati in monastero

Il capitolo si apre con due solenni principi fondati su due frasi del Signore: bisogna aver cura dei malati prima di tutto e soprattutto – espressione assoluta ed energica – e servire a loro come a Cristo in persona; seguono le due citazioni di Mt.25,36 e 40. I monaci opereranno di conseguenza, ma San Benedetto aggiunge una frase, grave, ma pacata, anche per gli infermi a non essere petulanti e troppo pretenziosi o addirittura capricciosi. Comunque, anche ammesso che i fratelli malati diventino cosi` strani – come puo` succedere a causa del male – gli altri devono sopportarli in ogni caso. La prima parte del capitolo si chiude con una ammonizione categorica all’abate affinche` si prenda “somma cura” degli infermi.

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Il cellario sia un Padre

Il cellerario deve essere come un padre per tutta la comunita`, quindi deve preoccuparsi di tutto e di tutti, sopratutto avere una cura speciale per i piu` deboli: malati, fanciulli, ospiti, poveri. Una virtu` che gli viene molto raccomandata e` l’umilta`, che dimostrera` nel non contristare i fratelli: la sentenza e` l’eco di una massima degli antichi Padri: “non contristare il tuo fratello, giacche` sei monaco” (Vitae Patrum, 3,170); nel non disprezzarli nel caso che debba negare loro qualcosa: l’espressione e` presa da S.Agostino: “A chi non puoi dare cio` che ti chiede, non mostrare disprezzo; se puoi dare, da`; se non puoi, dimostrati affabile (Esposizione sul salmo 103,1.19); non potendo concedere la cosa richiesta, risponda con una buona parola, secondo il libro del Siracide 18,17 ;la razione di cibo che deve dare, la dia senza arroganza ne` indugio, cioe` senza farla piovere dall’alto, dandosi l’aria di padrone che, bonta` sua, “si degna” di dare agli altri.

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San Benedetto si ispira ai diaconi per i suoi decani

Questa indicazione di San Benedetto che vuole organizzare i monaci a gruppi di dieci sotto la sorveglianza di un decano trova origine tra i monaci egiziani ma forse più ancora in Atti 6, 1-3 considerato l’atto di nascita dei diaconi. Non si tratta di certo di una “elezione” come pensiamo noi oggi, ma di una scelta diretta dell’ Abate che individuava persone timorate di Dio che lo aiutassero a governare.

Si esige anzitutto che siano “stimati”, letteralmente “di buona riputazione”, espressione tratta da Atti 6,3 a proposito dei diaconi; inoltre che siano di “santa vita monastica”. Piu` sotto, al v.4, abbiamo una coppia di qualita` richieste per chi deve essere ordinato abate; <santita` di vita e dottrina spirituale>. Il significato e` evidente: che l’abate “possa condividere con loro tutti i pesi suoi” (v,3), (l’espressione richiama Esodo 18,22), compresa la responsabilita` spirituale: insegnare le vie di Dio ai fratelli loro affidati.

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