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Monaci, mestieri e superbia

Tra i fratelli potrebbero trovarsi alcuni che o gia` nel mondo o in monastero si sono resi abili in un’arte. San Benedetto non specifica nulla; pare gli interessi poco; cio` che a lui interessa e` il bene spirituale, quindi evitare il rischio della mancanza di umilta`: cose che sono al di sopra di ogni considerazione di guadagno per il monastero. Percio` potranno questi monaci esercitare la loro arte, ma solo con il consenso dell’abate  e senza ritenersi indispensabili, vantandosi di portare un utile al monastero.

Forse San Benedetto si ispira a S.Agostino, il quale parla di monaci che hanno portato delle sostanze al monastero e che potrebbero insuperbirsi di cio`. Potrebbe ispirarsi anche a Cassiano che parla del lavoro dei monaci egiziani. Per San Benedetto,  se gli artigiani non sono capaci di disinteresse e di distacco, deve proibirsi loro di esercitare la loro arte.

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E’ l’abito che fa il monaco?

Che cosa deve avere dunque ciascun monaco per uso suo personale? Vestiti, calzature e pochi utensili: lo stretto necessario. San Benedetto ha troppa esperienza, prudenza e sensatezza per imporre un vestito uniforme, un “abito religioso” nel senso moderno della parola, valido e obbligatorio per tutti i luoghi e per tutte le persone. San Benedetto vuole che si tenga conto del clima, e cio` fa capire che egli ha una prospettiva ampia (non pensa solo al monastero di Montecassino o di Terracina); esprime la sua opinione su cio` che basta in un clima temperato; non gli interessano il colore e la qualita`, e vuole che i monaci non se ne curino. Cio` che gli interessa e` la poverta`, o meglio la semplicita`: che ci si accontenti del necessario; difatti San Benedetto insiste sulla sobrieta`  e sul ruolo dell’abate nel fornire il vestiario.

L’elenco del vestiario fornito dalla Regola e` abbastanza ridotto: una cocolla di lana per l’inverno e un’altra piu` leggera o consumata per l’estate, la tunica, lo scapolare “per il lavoro” <propter opera>, scarpe e calze. Tutto sembrerebbe chiaro, e invece non lo e` affatto, perche` nessuno dei capi di vestiario menzionati corrisponde a quelli in uso oggi nei monasteri; anche se i nomi sono rimasti, il significato e` mutato. Vediamo in breve:

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L’accoglienza degli ospiti

La Sacra Scrittura parla dell’accoglienza degli ospiti come di un esercizio fondamentale della carita` fraterna  e Gesu` dice che nelle persone di ospiti e pellegrini si riceve lui stesso (Mt.25,35-43). Fin dalle origini del monachesimo, ricevere poveri, pellegrini e ospiti fu ritenuta una pratica sacrosanta della vita quotidiana: cosi` presso i Padri del Deserto (abbiamo tanti esempi e aneddoti nei “Detti”), presso anacoreti, presso i cenobiti pacomiani. San Benedetto si mostra degno erede di questa tradizione. Per il Capitolo 53 della RB abbiamo nella RM vari capitoli (RM.65; 71-72; 78-79), in cui da una parte notiamo grande comprensione e carita` (addirittura il Maestro fa anticipare il pasto dei fratelli a sesta, se l’ospite si trattiene); d’altra parte notiamo differenza nei confronti di ospiti che si fermano piu` giorni: in essi potrebbero nascondersi parassiti e ladri. SB ha soppresso tanta casistica e parla dell’ospitalita` in un solo capitolo unitario e ben compatto, tutto pieno di un profondo spirito di fede, di calore umano e di carita` fraterna.

 

  1. Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto”
  2. e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini.
  3. Quindi, appena viene annunciato l’arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore;
  4. per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace.
  5. Questo bacio di pace non dev’essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche.
  6. Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza,
  7. adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.
  8. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro.
  9. Si legga all’ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità.
  10. Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all’ospite,
  11. mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.
  12. L’abate versi personalmente l’acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;
  13. lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti
  14. e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: “Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio”.
  15. Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d’altra parte, l’imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé.
  16. La cucina dell’abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall’arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero.
  17. Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve.
  18. A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n’è bisogno, perché servano senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda l’obbedienza.
  19. E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale principio
  20. e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine.
  21. Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio:
  22. in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge.
  23. Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l’incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti,
  24. ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti.

L’importanza di essere puntuali

Come e` proprio dell’uomo sbagliare, cosi` e` proprio del monaco riconoscere umilmente i suoi errori e le sue deficienze davanti a Dio e davanti ai fratelli. Percio` il significato della soddisfazione e` quello di riparare pubblicamente le colpe, gravi o leggere, commesse pubblicamente a detrimento della pace, della concordia, dell’ordine della comunita`; chiedere perdono a Dio delle irriverenze commesse contro di lui o contro le cose a lui consacrate. Il capitolo 43 parla della soddisfazione di chi arriva tardi alla preghiera comune o alla mensa.

La puntualita` costituisce un elemento fondamentale per l’ordine. Essa va usata soprattutto per la preghiera. Qualunque sia l’occupazione del monaco, al segnale dell’Ufficio divino, bisogna lasciarla subito perche` la dignita` della preghiera comune e` superiore a tutte le altre cose. Per inculcare la piu` scrupolosa puntualita`, San Benedetto dice di “correre con somma sollecitudine”, ma sempre con la gravita` caratteristica del monaco, ricordata molte volte nella Regola

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Il silenzio

Il monaco è chiamato a tenere cura del silenzio in tutti i tempi, ma una posizione di privilegio va riservata al tempo della notte. Forse è l’ora  nella quale sarà importante avviare un’opera di rieducazione al grande silenzio. Certo, San Benedetto vede quanto sia necessario il silenzio notturno per salvaguardare il riposo di dieci o venti monaci che dormivano nello stesso luogo. Ma e` anche certo che pensa alla “spiritualita`” – per cosi` dire – della notte.

La notte e`, infatti il tempo delle grandi rivelazioni di Dio nell’antica e nella nuova alleanza: nel silenzio della notte il Verbo incarnato e` apparso per la prima volta tra noi (cf. la liturgia del Natale); nel silenzio della notte il nostro Redentore e` risorto dal sepolcro; nel silenzio della notte, Cristo si intratteneva a colloquio col Padre. Il monaco dovrebbe, in questo grande silenzio, prolungare la sua preghiera personale che nasce dalla liturgia e delle liturgia e` luce e alimento (cf. di nuovo quanto detto sulla notte e la veglia in vista della preghiera, nell’Excursus sulla preghiera).

 

  1. I monaci devono custodire sempre il silenzio con amore, ma soprattutto durante la notte.
  2. Perciò in ogni periodo dell’anno, sia di digiuno oppure no, si procederà nel modo seguente:
  3. se non si digiuna, appena alzati da cena, i monaci si riuniscano tutti insieme e uno di loro legga le Conferenze o le Vite dei Padri o qualche altra opera di edificazione,
  4. ma non i primi sette libri della Bibbia e neppure quelli dei Re, perché ai temperamenti impressionabili non fa bene ascoltare a quell’ora i suddetti testi scritturistici, che però si dovranno leggere in altri momenti;
  5. se invece fosse giorno di digiuno, dopo la celebrazione dei Vespri e un breve intervallo, vadano direttamente alla lettura di cui abbiamo parlato
  6. e leggano quattro o cinque pagine o quanto è consentito dal tempo a disposizione,
  7. perché durante questo intervallo della lettura possano radunarsi tutti, compresi quelli che fossero eventualmente stati occupati in qualche incombenza.
  8. Quando saranno tutti riuniti, dicano insieme Compieta, all’uscita dalla quale non sia più permesso ad alcuno di pronunciare una parola.
  9. Chiunque sia colto a trasgredire questa regola del silenzio venga severamente punito,
  10. eccetto il caso in cui sopraggiungano degli ospiti o l’abate abbia dato un ordine a un monaco;
  11. ma anche in questa eventualità bisogna procedere con la massima gravità e il debito riserbo.

Il cibo e il vino nel monastero

Ciò che emerge per cibo e vino in monastero è la sobrietà, la moderazione, l’uso dei beni senza eccessi … Sono principi cardine della vita cristiana, vie che aiutano a camminare verso la santità… E così, nel particolare vediamo che San Benedetto vuole due pietanze cotte, per assicurare il necessario ai fratelli malati (v.2), ma chi aveva stomaco forte poteva senza dubbio fare onore ad ambedue. L’eventuale terzo piatto era di legumi teneri che in Italia del Sud il popolo soleva mangiare anche crudi: fave, ceci, lupini, ed anche carote, cipolle, ravanelli, ecc. Per il pane si parla di una “libbra”, peso tradizionale presso tutti i monaci. … Sull’uso del vino nella tradizione monastica, si va dalla totale proibizione (Vita di Antonio, Pacomio, Basilio – solo per i malati -, Giovanni Crisostomo…), alla progressiva (Agostino, Ilario di Arles…) e pacifica ammissione (Cesario, Aurichiano, Isidoro, Fruttuoso…).  San Benedetto  accetta le cose come sono e vi si adatta, pur ricordando e lodando l’austerita` antica. E aggiunge la norma di Basilio  di non bere almeno fino alla sazieta`, citando la frase del Siracide 19,2 che, presa integralmente, suona cosi`: “vino e donne fanno traviare anche i saggi”. A San Benedetto in questo punto, il secondo termine (le donne) non e` pertinente!

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Mangiare in silenzio per cibare corpo e anima

Non sappiamo se vi sia mai capitato di stare a tavola in qualcuno di quei monasteri nei quali vige ancora la regola del silenzio. A noi è capitato e possiamo assicurarvi che è un’esperienza davvero suggestiva. Se non l’avete mai fatta ve la consigliamo.

Comunque un altro ufficio connesso con la refezione dei fratelli e` quello del lettore di mensa. Anche questo ufficio e` settimanale, come quello dei servitori. La lettura a tavola era sconosciuta in Egitto (Pacomio). Secondo Cassiano, l’uso di leggere a tavola lo avrebbero introdotto i monaci di Cappadocia per evitare le discussioni frivole e le dispute. S.Basilio si appella al motivo spirituale, seguito poi da tutta la tradizione monastica: cioe` di rifocillare anche lo spirito insieme al corpo (vedi la scritta nel nostro refettorio del monastero di S.Silvestro: “Dum corpus reficitur, mens ieiuna non maneat” <mentre si rifocilla il corpo, lo spirito non rimanga digiuno>; cosi` S.Agostino, S.Cesario, ecc.

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I vecchi e i ragazzi

San Benedetto ricorda  la naturale tendenza dell’uomo a compatire i vecchi e i fanciulli. Pero` vuole che intervenga anche l’autorita` della Regola perche` – l’esperienza glielo avra` insegnato – in una comunita` monastica ci puo` essere sempre chi vede di malanimo le eccezioni e certi temperamenti rigidi vogliono che la Regola si applichi fedelmente e scrupolosamente in tutto e a tutti. San Benedrtto con la sua grande discrezione e la considerazione della soggettivita`, vuole che si tenga conto sempre dei piu` deboli e si usi un’affettuosa condiscendenza.

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Monaci, cucina e alimentazione

I padri del monachesimo antico danno all’alimentazione grande importanza: sia nel senso che tale necessita` corporale serviva loro come palestra per esercitarsi nella mortificazione e nella penitenza; sia nel senso che compresero il ruolo che una giusta alimentazione ha per le attivita` spirituali del monaco. Cassiano, con la sua esperienza dei diversi ambienti monastici, riassume nelle sue Institutiones alcune norme; in un capitolo pone espressamente la questione: come debba essere il pasto del monaco. E risponde che si deve scegliere una alimentazione: a) che mortifichi gli ardori della concupiscenza; b) che possa prepararsi facilmente; c) che sia la piu` economica… (Inst.5,23).Riassumendo il suo insegnamento, possiamo dire che il regime alimentare dei monaci deve avere tre obiettivi: a) dominare direttamente la passione della gola e, indirettamente, quella della lussuria, cosi` collegata con la gola; 2) essere in coerenza con la poverta` che si e` professata; 3) favorire l’orazione e in generale tutta l’attivita` spirituale del monaco.

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Monaci tra cella e dormitorio

La sostituzione della cella a favore del dormitorio comune avviene alla fine del secolo V in Gallia (per evitare i vizi della proprieta` privata, della gola, dell’incontinenza), e la cosa si nota anche a Costantinopoli. I motivi iniziali dell’abbandono della cella sono il lavoro manuale e l’Ufficio divino in comune. In questo cambiamento dalla cella al dormitorio si deve vedere il fatto piu` importante della storia del monachesimo antico. La cella dava al monaco un carattere solitario e contemplativo; il suo abbandono significa che si lascia questo alto ideale per assicurare la pratica di certe virtu` elementari; salvare la poverta` e i buoni costumi sembra piu` urgente che l’orazione incessante.

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